Quirinale. L'ipoteca Berlusconi
Il 4 gennaio il Presidente della Camera Roberto Fico dovrebbe inviare la sua convocazione al Parlamento in seduta comune (più i delegati regionali) per dare inizio all’elezione del Presidente della Repubblica. I nostri politici non aspettano altro, il gioco li appassiona come nessuno. Ma pochi avrebbero immaginato di arrivare alla data fatidica con due candidati che giocano, per quanto possono, a carte scoperte. Il primo è Silvio Berlusconi, che, alla luce del sole, ha imposto il proprio nome alla sua coalizione. Il secondo è Mario Draghi che con garbo istituzionale ha fatto notare come difficilmente una coalizione che deflagra sulla via del Colle potrà ricomporsi per sostenere un governo: un fatto ovvio, ma reso più evidente da una candidatura così apertamente “partigiana” come quella del Cavaliere. La deduzione, altrettanto scontata, è che se si desidera che governo e legislatura durino meglio sarebbe scegliere il Capo dello Stato con un fronte ampio nei primi scrutini. Situazione per cui l’unico nome spendibile è proprio quello di Draghi.
Per carità, il Quirinale è un po’ come il Premio Nobel: se devi essere tu a candidarti, vuol dire che non sei in gara. Alla massima carica dello Stato si arriva sospinti in teoria del prestigio di una vita e dall’autorevolezza conquistata sul campo, in pratica dai partiti, che possono cercare di ottenere un riconoscimento simbolico alla propria tradizione o famiglia politica o, più prosaicamente, un Capo dello Stato che presti loro orecchio. Negli ultimi anni, molto spesso l’età è stata un fattore dirimente: nel senso che l’età media dell’inquilino del Colle è cresciuta con quella del Paese. Carlo Azeglio Ciampi divenne Presidente a 78 anni, Giorgio Napolitano a 80, Sergio Mattarella “solo” a 74 (l’età che ha oggi Draghi). Giovincelli come Giovanni Leone (eletto a 63 anni) o Francesco Cossiga (57) sono fuori dall’orizzonte culturale della seconda Repubblica. A conti fatti, cambia poco: da qualche parte, nei sotterranei del Quirinale, deve esserci una piscina miracolosa tipo quella del film Cocoon.
Nei mesi scorsi, Silvio Berlusconi ha imbastito una candidatura che sembrava una provocazione. Pallottoliere alla mano, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno tracciato una linea. Il prossimo Presidente non sia del PD, hanno detto. Silvio si è fatto due conti. Gli ultimi due “quirinabili” riconducibili a Lega e Fratelli d’Italia sono stati Gianfranco Miglio e Domenico Fisichella, uno non è più con noi da vent’anni, l’altro è totalmente fuori dai giochi. Nonostante il suo consenso nel Paese e i tanti anni passati al governo, il centro-destra non ha nomi pesanti da mettere in campo, personaggi il cui rilievo possa consentire un’apertura di credito da parte del PD o almeno un’ostilità non belligerante. Uno dei responsabili diretti di questo vuoto culturale è Berlusconi: che ci sguazza, come ha sempre fatto. Il suo “ci provo io” sembrava un ballon d'essai ma è diventato qualcosa di più serio quando il Cavaliere ha reso chiaro che non ci sta a farsi impallinare alle prime tre votazioni e scenderà in campo al quarto scrutinio.
Ce la può fare? Con sorprendenti aperture di credito ai grillini (che avrebbero “una radica comune con Forza Italia”) e inediti apprezzamenti per il reddito di cittadinanza, Berlusconi ha segnalato una disponibilità. I suoi alleati sanno che è attivamente in cerca di voti e non possono, verosimilmente, provare a stopparlo. Sarà pure invecchiato, ma resta il fondatore del centro-destra e una figura che gli elettori di Lega e FdI amano più di quanto non facciano i loro leader. I problemi più grossi il Cavaliere li ha, e non potrebbe essere altrimenti, nel controllo delle dinamiche dell’elezione. E’ fuori dal Parlamento e fra Camera e Senato ha solo un pugno di fedelissimi, nessuno dei quali ha né il carisma né la capacità manovriera necessari a orchestrare la più complessa delle partiture politiche, l’elezione del Presidente col voto segreto. E’ questo il suo vero tallone d’Achille: la debolezza del personale politico di Forza Italia, da lui attentamente selezionato perché non potesse nemmeno sognare di brillare di luce propria, ora gli si ritorce contro.
Aggiungete che Meloni e Salvini hanno ottime ragioni per non volerlo al Quirinale. In primo luogo, per raccattare voti Berlusconi prometterebbe tutto il promettibile, il che significa anzitutto la prosecuzione della legislatura fino alla sua conclusione naturale, mentre loro vogliono elezioni anticipate. In seconda battuta, una eventuale elezione di Berlusconi sarebbe un ricostituente potentissimo per la sinistra: con Silvio al Colle ci aspetterebbero mesi di mobilitazioni senza precedenti, a tutto vantaggio della coalizione PD-Cinque stelle. Da ultimo, Meloni e Salvini sono in concorrenza l’una con l’altro ma hanno un obiettivo simile: un governo a guida “sovranista”. Quel governo potrebbe avere vita breve. A meno che non sia Presidente Mario Draghi, che con la forza della propria reputazione garantirebbe per i discoli italiani con i partner europei. A Lega e Fdi serve un Presidente cloroformizzante, Silvio sarebbe un Presidente piromane.
Meloni e Salvini sin qui hanno traccheggiato. Non potevano dire “Draghi” perché è difficile invocare, e per giunta per sé, una sorta di baby sitter istituzionale. Altri candidati non ne hanno e neppure una storia che renda particolarmente credibile un loro richiamo all’importanza di decisioni condivise. Volevano probabilmente avvicinarsi all’elezione del Presidente con le mani libere. Berlusconi gliele ha legate. Sono obbligati a lasciarlo provare, lo scenario migliore per loro è che non ce la faccia e che, fallita la prova della quarta votazione, sgomberi il campo a partire dalla successiva.
E’ improbabile che Berlusconi non se ne sia accorto. Dovrebbe arrivare a 504 voti a dispetto dei franchi tiratori della sua coalizione. E’ praticamente impossibile. Questo non vuol dire che non sia lui, oggi, a dare le carte. L’uomo non è nuovo a sorprendenti giravolte. Lo sa bene Enrico Letta, il cui governo fu salvato da un imprevedibile voltafaccia di Berlusconi, poche ore dopo un attacco a testa bassa del più donchiosciottesco dei Sancho Panza del Cavaliere, Sandro Bondi. Berlusconi potrebbe continuare a giocare coi suoi alleati fino a due minuti prima del quarto scrutinio, presentandosi come il candidato “inevitabile” pronto a mettersi alla prova. A un minuto dal voto, però, potrebbe fare un passo di lato, rinunciando alle sue ambizioni per il bene del centro-destra, della patria, eccetera. In questo modo, si riserverebbe il diritto di essere lui a fare un nome che, estratto dal cilindro nel modo giusto, passerebbe in carrozza.
Quale nome farebbe, Berlusconi? Mario Draghi? Sarebbe quello col consenso più ampio. La lenta trasfigurazione, agli occhi dei più, da Caimano a padre della patria sarebbe compiuta. Draghi divenne prima Governatore della Banca d’Italia e poi Presidente della BCE con Berlusconi premier. Tuttavia, nel suo governo ha messo tre ministri di Forza Italia che non coincidono con la linea di Arcore ed è improbabile che la cosa sia stata dimenticata.
In tutta evidenza, Draghi ha una forza personale che fa sì che egli non debba dir grazie a nessuno. Il Cavaliere non è un virgulto e sa bene che la gratitudine è il sentimento della vigilia. Lui e i suoi da mesi insistono sull’importanza di tenere Draghi a Palazzo Chigi, per completare quanto avviato in questi mesi. Siccome anche senza elezioni anticipate la legislatura si avvia a conclusione, è improbabile che il premier che porta l’Italia verso il voto possa fare granché. Una grande coalizione vive della composizione quotidiana di conflitti radicati nelle diverse constituency dei partiti che la sostengono. Più si avvicina il momento in cui questi si debbono confrontare in campo aperto, maggiore sarà l’urgenza che avvertiranno di proteggere ciascuno i suoi. Nel 2022, chiunque sia al governo difficilmente si faranno “riforme” degne di queste nome.
A poter inchiodare Draghi a Palazzo Chigi non sono progetti di cambiamento ma l’urgenza della crisi: non solo quella energetica, all’orizzonte, e nemmeno l’inflazione o gli smottamenti in politica internazionale. Ma soprattutto la pandemia. Questo è un governo “dei” presidenti: Draghi e Mattarella. La mano del Capo dello Stato si vede in molte scelte, fra cui la rinnovata fiducia a Roberto Speranza ministro della sanità. Il premier ha inciso sulla gestione della pandemia con una decisione, indovinata: la sostituzione di Domenico Arcuri col Generale Figliuolo. Tutto il resto però è proseguito sul sentiero già tracciato. E’ stato assieme prudente e furbo non cambiare la figura ai vertici nella gestione dell’emergenza sanitaria. Giusto o sbagliato, però, il racconto della pandemia è rimasto quello caro al Ministro. L’indicatore considerato cruciale è sempre il numero di contagi, che promette di raggiungere un picco nel prossimo mese.
Se il mare è tempestoso, non si può cambiare il capitano della nave, quand’anche per promuoverlo. Con 100 mila positivi al giorno come fa un premier a traslocare di Palazzo, senza perdere ipso facto il credito di cui gode presso i cittadini? I partiti hanno la giustificazione perfetta per tenere Draghi lì dove sta, con conseguenze tutte da verificare. Dovrebbe preoccuparci non tanto che siano pronti a dichiararlo “un ingombro” come ha scritto Mattia Feltri. C’è un problema più grosso. Un Draghi premier che di fatto galleggia per un anno, fino alle elezioni, darebbe al mondo un messaggio ancora peggiore: che la politica italiana inghiotte tutto e tutti, che il più blasonato civil servant del Paese non è capace di imprimerle una direzione nuova. Con provvedimenti come la legge sulla concorrenza e la legge di bilancio abbiamo, del resto, già visto che il sistema dei partiti è tutt’altro che morto.
Paradossalmente, il boccino è nelle mani di Berlusconi. Sceglierà di usare l'emozione del momento per imporre Draghi a dispetto delle circostanze? Più probabilmente, proverà a ottenere un Presidente che sia un amico di lunga data, col quale i rappoti sono consolidati e di cui sente di potersi fidare. Se il nome fosse di sufficiente prestigio (il che significa, ahinoi, pescato al di fuori del centro-destra), il Cavaliere potrebbe persino dire che è il candidato giusto per replicare l’intesa fra Draghi e Mattarella e accompagnare il Paese nella nuova fase della pandemia. Improbabile? Berlusconi ha messo in quest’ultima corsa tutto il suo entusiasmo, ma non è detto che corra per sé.