La scomparsa della Regina Elisabetta (qui, se non l’avete letto, lo splendido articolo di Simon Schama) ha acceso la commozione del mondo, ben oltre i confini delle isole britanniche. Capita quando se ne vanno figure così rilevanti e che da tanto tempo accompagnano, sia pure da lontano, le nostre vite. Quando morì Giovanni Paolo II, fu come se il Duomo di Milano fosse stato inghiottito da una voragine, o poco meno.
La Regina è morta, lunga vita al Re. È l’occasione buona per riprendere in mano questo grande libro di Walter Bagehot, scritto ai tempi della Regina Vittoria. L’autore ci avverte, lui per primo, che “una Costituzione antica ma in perenne mutamento è come un vecchio amante delle tradizioni che indossa abiti che erano di moda durante la sua giovinezza: ciò che si vede è sempre la stessa cosa, ciò che non si vede è completamente cambiato”.
E in effetti Bagehot fra i poteri del sovrano, “che fluttuano tra l’esistenza e la desuetudine, e che potrebbero provocare un’interessantissima e inesorabile controversia giuridica, se la Regina provasse a esercitarli”, inserisce per esempio la possibilità di “trarre anche dalle file di un partito diviso il suo leader migliore in un momento in cui il partito, abbandonato a se stesso, non lo sceglierebbe”. Alla Regina Elisabetta, non è mai capitato.
Invece le riflessioni di Bagehot sulla potenza simbolica della monarchia restano attualissime
La ragione principale per cui la monarchia è una forma di governo solida sta nel fatto che si tratta di un sistema comprensibile. La maggior parte delle persone lo comprende ed è raro trovare in tutto il mondo qualcos’altro che si capisca altrettanto bene. Si è spesso affermato che gli uomini sono guidati dalla loro immaginazione; ma sarebbe più giusto dire che sono governati dalla debolezza della loro immaginazione. La natura di una Costituzione, l’attività di un’assemblea, il gioco dei partiti, la formazione invisibile di un’opinione dominante, sono fatti complessi, difficili da capire e facili da fraintendere. Ma l’azione di una singola volontà e il comando di una singola persona sono cose facilmente comprensibili: tutti sono in grado di capirle e nessuno può mai dimenticarle.
La più cinematografica delle forme di governo è anche la più antica. Secondo il grande direttore dell’Economist,
L’età medievale ha lasciato all’Europa un sistema sociale diretto dalle corti. Il governo venne posto alla testa di tutta la società, di tutti i rapporti, di tutte le esistenze; ogni cosa presupponeva fedeltà al sovrano e tutto si svolgeva attorno alle corti; ciò che era vicino a loro assumeva la massima importanza, ciò che era lontano non contava nulla. L’idea che la guida del sistema politico costituisca anche la guida della società è talmente impressa nella mente degli uomini che soltanto pochi pensatori la considerano una circostanza accidentale, anche se, esaminando la questione, questa conclusione è indubbia e ovvia.
Conta la storia, dunque, ma pure il modo in cui “naturalmente” tendiamo a vedere i fatti politici, andando alla ricerca di nessi causali lineari e immediati. Tant'è che “la maggioranza degli inglesi, per la verità, sa vagamente che vi sono altre istituzioni accanto alla Regina, e che vi sono norme attraverso le quali lei governa”. L’istituzione monarchica si pone come elemento di stabilità fra passato e futuro (lo ha evidenziato lo stesso Carlo III nel suo primo discorso), punto fermo in un mondo attraversato da trasformazioni sempre più tumultuose e, dunque, sommamente rassicurante. Nel lungo regno di Elisabetta, il suo impero si è sfatto e il mondo è cambiato: ma lei è sempre rimasta al suo posto. Però se moltissimi “amano indugiare con la mente sulla Regina più che su ogni altra cosa” è perché, già all’epoca di Bagehot, all’alba delle gazzette e ben prima dei social, è anche perché la monarchia soddisfa una domanda di spettacolo, di intrattenimento su larga scala. Se preferite, soddisfa il bisogno di storie che tutti avvertiamo, come esseri umani. Soprattutto questo, il presidio degli aspetti più teatrali della vita pubblica, resta ai monarchi costituzionali, le cui prerogative sono state limitate.
Nessun sentimento potrebbe sembrare più puerile dell’entusiasmo degli inglesi per il matrimonio del Principe di Galles, quando una faccenda che era davvero poca cosa fu considerata un grande evento politico. Ma nessun sentimento potrebbe esprimere meglio la natura umana.
Figuratevi ora. Ero in America, ai tempi del royal wedding di William e Kate. Fra speciali televisivi e bandierine al vento sembrava di essere a Londra. Le cose nel 1776 sarebbero andate diversamente, se fosse esistita la televisione.
C’è modo e modo, però, di essere un simbolo. “La più grande saggezza di un Re costituzionale si manifesta in una ben calcolata inazione”. Elisabetta colse perfettamente il senso di questo suggerimento.
Bagehot è convinto che l’apprendistato di un re costituzionale, sempre in prossimità degli affari di Stato ma in posizione laterale e non compromessa, rappresenti un serbatoio di tentazioni che mettono a dura prova la carne dei futuri monarchi, debole al pari della nostra.
La Regina Vittoria (che, prima e ancor più di Elisabetta, esorcizzò tentazioni repubblicane tutt’altro che aleatorie), Bagehot lo ammette di buon grado, fu un esempio di virtù domestiche. Mal raccontata e storpiata dalla televisione, anche quella fra il nuovo Re e la nuova Regina è a suo modo una storia d’amore esemplare, in un mondo che (a cominciare dagli altri Windsor) non ne conosce più molte.
I sovrani retti e a loro agio in una casa di vetro sono pochi ma hanno probabilmente un ruolo particolare nel legittimare un’istituzione la cui più grande forza risiede nella comprensibilità e nella stabilità.
Bagehot è scettico tanto sulle capacità quanto sulla moralità dei sovrani. Nel migliore dei casi, si tratta di felici accidenti. E’ un’ovvietà eppure è difficile non rimanere stupiti, ripensando ai tanti secoli delle monarchie europee, nei quali senz’altro i monarchi inadeguati non sono mancati, e tuttavia gli esempi veramente scandalosi si contano su un paio di mani, a esagerare. Non è detto che il puro caso del diritto di nascita faccia poi peggio, alla prova della storia, della competizione per il potere nelle moderne democrazie.
Walter Bagehot, La Costituzione inglese (1867), Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 312.
Difficile per le persone é, in questo caso, anche rifiutare il principio per cui, in una società che si suppone tutti possano nascere uguali e con le stesse opportunità, vi sia una classe in cui privilegi e potere non derivino da meriti, bensì da semplice linea di sangue ultra-secolare. Almeno i media italiani dovrebbero ricordare la scelta del 1946 e sottolineare questo distacco morale, storico e sociale che, per una volta, la pone su un gradino più alto rispetto all'UK. Diamo tempo al tempo, tipo dieci anni di faticoso regno di Carlo III e finalmente i due partiti inglesi avranno il coraggio di inserire nei propri manifesti l'abolizione di questo vetusto e diseguale ordine politico - il tutto spinto dalle nuove generazioni che già con gli ultimi sondaggi dimostrano il più che sensato menefreghismo nei confronti di una famiglia che deve (in parte) mantenere con le proprie tasse.