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Che cosa sappiamo della variante Omicron? Poco, pochissimo. In particolare, non conosciamo le tre cose per noi più rilevanti: se e in che misura è più contagiosa (si ipotizza di si), se in che misura è più letale (parrebbe di no), se e in che misura mette in difficoltà i vaccini a nostra disposizione. In assenza di queste informazioni, è difficile ragionare su come (e se) adattare le nostre politiche di sanità pubblica.
In Europa, i governi hanno reagito scegliendo di fare i vigili urbani del panico, anziché dare un apporto di razionalità alla discussione pubblica. Nel dubbio, chiudi: questo genere neanche di scelta, ma di prassi automatica, ci sarebbe parsa inimmaginabile prima di Covid-19. Due economisti, Piero Stanig e Giammarco Daniele, nel loro Fallimento lockdown (Egea), hanno passato in rassegna i piani pandemici pre-2020 e hanno documentato quanto essi prevedessero esplicitamente di non fare tutto ciò che invece è stato poi fatto. Imperfetti come tutte le cose umane, quei piani cercavano di contemperare diversi obiettivi e si proponevano di preservare la società e il suo funzionamento “normale” quanto più possibile, anche in una situazione pandemica.
Ormai si è imposta la visione contraria: cioè che la pandemia serva precisamente per smontare e rimontare la società, per rifarla secondo un progetto nuovo.
Non è solo una questione di principio di precauzione, quello che è stato invocato per cancellare i voli dal Sud Africa, dove è stata individuata la Omicron. Il Presidente di quel Paese, Cyril Ramaphosa, non ha torto nel sostenere che si tratti di provvedimenti discriminatori e anti-scientifici, sia perché la stessa variante è già stata individuata in più nazioni, sia perché se lo sforzo di un Paese nel sequenziare una variante e comunicarne al mondo l’esistenza è remunerato con il sostanziale isolamento è improbabile che la pratica si diffonda. Che lo stop dei voli serva “a guadagnare tempo per studiare la variante”, come ha detto il maggior interprete dello spirito del tempo, il Ministro Speranza, lo può crede solo chi immagina che la ricerca medico-sanitaria avvenga nel giardino di qualche governo nazionale e non sia invece una grande impresa globale.
Il principio di precauzione c’entra poco anche con le misure messe in atto, in Italia, per venire alle prese con un aumento dei contagi che in larga misura è dovuto a fattori stagionali. Come abbiamo scritto con Gilberto Corbellini su Linkiesta, anziché spingere su una accelerazione delle vaccinazioni e in particolare modo su una più rapida somministrazione delle terze dose, si è presa una direzione diversa. Emblematico dell’approccio dominante è l’obbligo di mascherina all’aperto in centro città. Della Omicron non sappiamo pressoché nulla, ma se qualcosa delle modalità di diffusione del virus abbiamo imparato è che esso si propaga attraverso aerosol. In un assembramento di decine di persone che festeggiano o ballano all’aperto un rischio di trasmissione, per quanto assai basso c’è, ma una persona che passeggia da sola o con il partner, il figlio o la famiglia in un parco o in una piazza o guardando le vetrine non rischia di fatto niente. E anche chi si trova in un “assembramento” (una delle più odiose, fra le nuove parole della pandemia) affronta un rischio che, in ragione delle sue caratteristiche (è giovane, è già vaccinato, eccetera), potrebbe scegliere di correre. In più, anche sul piano teorico le mascherine assicurano un certo grado di protezione a determinate condizioni (per esempio, per un certo numero di ore) mentre nell’uso comune sono ormai diventate un capo di abbigliamento, come fossero una cravatta o una sciarpa.
Il governo ha cercato di promuovere la vaccinazione non puntando sulla razionalità ma facendone un gesto di morale pubblica: ci è stato chiesto di vaccinarci “per gli altri” e influencer più o meno noti si sono fatti ritrarre nell’impresa, come fossero in fila per ricevere la comunione. Gli “eretici” hanno finito per mettere in dubbio (con sprezzo del ridicolo) l’efficacia dei vaccini ma in compenso si mettono volentieri le mascherine e persino misure di chiusura sono accolte oggi dai NoVax con la soddisfazione di chi pensa che la realtà gli stia dando ragione.
E’ un dibattito che continua soltanto a generare paure. La paura è il più forte dei sentimenti politici, ma le istituzioni pubbliche di solito si propongono di governarla: la loro legittimità si fonda proprio sul sapere rassicurare le persone. Oggi invece sono fra i primi diffusori del panico. Non sappiamo molto della variante Omicron e anche le nostre conoscenze sulla pandemia sono in continua evoluzione. Però una cosa forse ora la sappiamo: non ne “usciremo migliori”.