Questo è il più bel libro che sia stato scritto sulla crisi finanziaria del 2007/2008 e purtroppo non l’ha letto quasi nessuno.
Jeffrey Friedman, recentemente scomparso, è stato un bravissimo ed eccentrico scienziato politico americano, fondatore ed editor di una delle riviste più ricche e plurali delle scienze sociali, Critical Review. Wladimir Kraus è un economista di formazione “austriaca”, poi finito a lavorare per un’importante autorità di regolamentazione. Questo libro, del 2011, fece seguito a un articolo che Friedman pubblicò in un fascicolo speciale della sua rivista, nel quale prendeva di petto il tema del giorno: la crisi finanziaria, appunto. Il titolo di quell’articolo va ricordato: “A Crisis of Politics, Not Economics: Complexity, Ignorance, and Policy Failure”.
Una delle parole più inflazionate del nostro tempo è: narrazione. Tutto è una “narrazione” e per molti non c’è null’altro: le cose dipendono essenzialmente da come vengono raccontate. I racconti non bastano a smontare e rimontare la realtà, ma incidono sul modo in cui la comprendiamo. Nel caso della crisi finanziaria, l’effetto è chiarissimo. Fin da subito, ci fu narrata, nel modo più scontato, come l'esito di un’esplosione di avidità da parte dei banchieri. L’avidità acceca e pertanto gli operatori si sarebbero imbarcati in imprese piratesche, con piena consapevolezza dei loro atti di pirateria. I regolatori sarebbero stati assenti: vuoi perché troppo pochi e mal finanziati, vuoi perché complici. La credenza nelle capacità di autoregolamentazione del mercato li avrebbe condotti a tollerare, se non incentivare, comportamenti risultati criminosi.
Tutt’oggi in molti la pensano così. Da quel modo di leggere gli eventi del 2007/2008 derivano molte delle politiche successive. Con qualche amnesia. Per esempio, ricordate le invocazioni, pressoché unanimi, al “narrow banking”, alla separazione fra banche commerciali e banche d’affari, con l’obiettivo in modo più stringente le attività concesse alle prime? Belle chiacchiere, che sono andate in fumo a causa di quindici anni di politiche monetarie espansive (un giorno le chiameremo, finalmente: avventuristiche). Le quali hanno, fra le altre conseguenze, quella di spingere gli istituti di credito non verso impieghi più sicuri dei quattrini dei correntisti, bensì verso impieghi sempre più rischiosi.
Friedman e Kraus avevano un approccio diverso. Consideravano la crisi come frutto di una pluralità di fattori e non trascuravano affatto il ruolo della regolamentazione. Che non era inesistente: all’epoca, circa 30 mila persone, nei soli Stati Uniti, portavano il pane in tavola occupandosi di regolamentazione finanziaria, e oggi sono ancora di più.
Fra le altre cose, Friedman e Kraus spiegavano come le autorità americane hanno contribuito a spingere la grandi banche ad acquistare in gran quantità mortgage backed securities, cioè strumenti finanziari nei quali venivano cartolarizzati i mutui immobiliari e che dunque servivano ad aumentare la disponibilità di credito ipotecario, “spostando il rischio più in là”, ripartendolo su di una base più ampia di intermediari.
Friedman e Kraus puntavano il dito contro “la Recourse Rule, ossia un emendamento agli accordi Basilea I che governavano i requisiti minimi relativi al capitale bancario”.
Secondo la Recourse Rule, ai titoli garantiti da asset (come un’obbligazione garantita da un mutuo ipotecario) aventi un rating pari a AA o AAA veniva attribuito un coefficiente di rischio pari al 20 per cento, da confrontare con un coefficiente pari a zero per il denaro contante e un coefficiente del 50 per cento per un normale mutuo ipotecario. Ciò significava che una banca commerciale poteva concedere mutui (a prescindere dalla solidità finanziaria dei beneficiari), per poi venderli ad una banca d’investimento che li avrebbe cartolarizzati e riacquistarli sotto forma di titolo garantito da mutui ipotecari, riducendo in tal modo del 60 per cento il capitale che avrebbe dovuto iscrivere a bilancio a garanzia dei mutui concessi. (…)
Certamente le banche che acquistavano titoli garantiti da mutui al fine di ridurre l’ammontare della propria riserva di capitale sapevano di aumentare la propria vulnerabilità qualora i loro investimenti fossero andati male. Tuttavia, in assenza della Recourse Rule, non vi sarebbe stato alcun motivo per indurre le banche alla ricerca di un sistema sicuro per aumentare la propria redditività a convergere sui titoli garantiti da asset, anziché affidarsi, ad esempio, a buoni del tesoro o ad obbligazioni societarie aventi un rating tripla-A. In tal caso esse non sarebbero risultate vulnerabili al momento dello sgonfiamento della bolla immobiliare. La Recourse Rule ha gonfiato artificialmente la redditività di un particolare tipo di investimento che, nell’opinione della Fed, della FDIC e degli altri regolatori, appariva sicuro.
Attenzione: Friedman e Kraus non pensavano che i regolatori fossero dei farabutti, e per dir la verità neppure tutti i manager delle grandi banche. Pensavano semmai che dietro la crisi vi fossero genuini problemi cognitivi: cose che non si sapevano o non si comprendevano, soprattutto al livello di “governo” (pubblico o privato) nel quale diverse decisioni venivano prese. La colpa, più che alla complessità, andrebbe ricondotta al non saper disegnare strumenti di governance all’insegna di quella necessità, in ragione di un perdurante pregiudizio favorevole ad assetti centralizzati e verticistici, che non sanno valorizzare la conoscenza dispersa, nella società come nelle grandi organizzazioni.
La crisi fu “ingegnerizzata” non per malafede, ma per ignoranza, per assenza degli strumenti cognitivi appropriati là dove dovevano essere utilizzati. E abbiamo pensato di cavarcela non venendo alle prese con quel problema, ma con abbondanti dosi di droga monetaria. Che, come tutte le droghe, semplicemente fa sparire i problemi, nel torpore di una vista annebbiata.
Oggi vediamo banche centrali e regolatori provare a riproporre gli schemi usati allora, per giunta in un contesto assai diverso, proprio a causa delle politiche messe in atto in quegli anni e di troppi anni di espansione monetaria. Andiamo a passi decisi verso un contesto nel quale la parola “responsabilità” non significherà più nulla, nel mondo della finanza: ogni operatore periclitante sarà salvato, ogni deposito assicurato. Che mai potrà andare storto?
Questo libro andrebbe ripreso in mano, proprio in questi giorni, per ragionare su ciò che avvenne allora: su scelte che non furono necessariamente “corrette”, solo perché ci diedero un po’ di respiro nel breve periodo. Chi prova a usare un po’ di onestà intellettuale nel ricordare il passato è condannato a ripeterlo.
Jeffrey Friedman & Wladmir Kraus, Engineering the Financial Crisis: Systemic Risk and the Failure of Regulation, Philadelphia, PA, University of Pennsylvania Press, 2011, pp. 212.
La carenza di formazione austriaca è probabilmente la più grossa lacuna della cultura nazionale italiana.