Tamponi e calmieri
Chi, oggi, provasse a prenotare un tampone rapido in farmacia a Milano si vedrebbe proporre come prima data utile il 10 di gennaio. Immaginate di dovervi sottoporre a un test perché avete avuto un contatto con un positivo la vigilia di Natale oppure proprio nel vivo delle feste avete cominciato ad avvertire alcuni di quei sintomi “influenzali” (tosse, difficoltà a respirare, febbre) che fanno temere abbiate preso il Covid. A che serve, di preciso, fare un test dopo due settimane, quando la malattia sarà passata o (speriamo di no) decisamente peggiorata?
Quello che per i giornali è il “caos tamponi” sta suscitando i commenti più diversi. Il generale Figliuolo con piglio virile ci ha ricordato che facciamo le code per il Black Friday, quindi possiamo farle anche per i test antigenici. Perlomeno nel mondo occidentale, sin qui a nessuno era venuto in mente di risolvere il problema delle liste d’attesa intimando alla gente di non rompere gli zebedei. Zaia dichiara che “l'alternativa alle code dei tamponi sono le farmacie, i contatti con i positivi potrebbero testarsi in farmacia”. Ma le code oggi sono davanti alle farmacie, più ancora che nelle strutture ospedaliere e nei centri diagnostici.
I non vaccinati si lamentano dei vaccinati che si fanno testare. Il tampone non era l’alternativa al vaccino, non serviva a dimostrare costantemente di non essere infetti così da “meritarsi” di continuare a partecipare alla vita sociale? Il vaccino non doveva garantire ai vaccinati un “Natale normale”? I vaccinati replicano che loro stanno alle indicazioni del governo e che, avendo imparato che il vaccino è anti-malattia ma non anti-infezione, giustamente come si farebbero testare per partecipare a un grande evento, così fanno prima di andare a trovare i genitori anziani, comunque più importanti di un festone di Capodanno. Gli esperti in televisione ammoniscono che i test devono andare “a chi ne ha bisogno”, categoria che tuttavia non è chiarissima. C’è chi invita chi ha sintomi a non uscire di casa nemmeno per farsi testare. Chi sottolinea come vada data priorità ai contatti stretti dei positivi. Chi sostiene che i vaccinati dovrebbero godersi non solo un senso di superiorità morale ma anche un poco di sicurezza.
Non sarebbe meraviglioso se gli esseri umani avessero trovato un qualche sistema che consente di allocare risorse scarse nel modo più proficuo per la società, ma anche di ridurre col tempo i vincoli di scarsità?
Per molti, dovrebbe trattarsi di una sorta di graduatoria, nella quale i soggetti più “meritevoli” ottengono per primi l’agognato tampone.
Ci sono però due problemi.
Da una parte, ci sono diverse categorie che si considerano, ciascuna con argomenti più o meno solidi, più meritevoli delle altre. I NoVax ricordano come a loro il tampone era stato prospettato come alternativa al vaccino: dunque per loro si tratta di un bene “essenziale”, che andrebbe loro garantito prima che ad altri. I vaccinati hanno un’idea diversa: proprio chi già ha fatto mostra di senso civico nel vaccinarsi, andrebbe premiato per primo. I medici hanno opinioni diverse circa le sintomatologie che rendono davvero urgente sottoporsi a tampone.
Dall’altra, perché uno schema che distribuisce risorse “date” (i tamponi disponibili), all’interno di una certa popolazione, sulla base di un qualche criterio, dovrebbe contribuire ad allentare il vincolo di scarsità, cioè ad avere più tamponi?
La nostra bella graduatoria può al massimo basarsi sulle informazioni che possiamo derivare dal passato. Potremmo decidere, per esempio, di dare priorità a quei gruppi di persone che, sulla base di quanto sappiamo, ci sembrano essere stati più esposti al contagio. Possiamo “fare le parti” dei tamponi disponibili ragionando su quanti ne abbiamo a disposizione. Ma nulla di questo ci aiuta a venire alle prese con un aumento della richiesta, al crescere del numero di persone che si disputano i test antigenici.
Avremmo pertanto bisogno di un sistema radicalmente differente. Bisogna provare a coordinare le aspettative e le opinioni diverse delle persone. soprattutto se non siamo sicurissimi che alcune pretese siano oggettivamente più “forti” delle altre. Più importante ancora, però, è che aumenti la disponibilità delle merci in questioni: tanto per cominciare perché più saranno e minori saranno le ragioni di conflitto.
Non bisogna guardare non solo “in alto”, alle giustificazioni che ciascuno accampa per la sua pretesa di ottenere un certo bene, ma semmai “in basso”, ai fattori che consentono di produrli.
Questo sistema non piace a chi crede di avere “diritto” a un certo bene o servizio in virtù delle sue caratteristiche specifiche, ma esiste, appartiene al repertorio di istituzioni che ci sono note. E’ il sistema dei prezzi e nella pandemia abbiamo tentato di farvi ricorso il meno possibile.
Veniamo ai tamponi. Il fatto che si possano fare in farmacia e non solo nei centri diagnostici e nelle strutture ospedaliere è indubbiamente un progresso. Oggi i tamponi rapidi nelle farmacie costano 15 euro in ragione di un Protocollo negoziato fra farmacisti e governo. Per i minori, i test sono disponibili a 8 euro, a fronte di un sussidio di 7 da parte dello Stato.
La presenza dei farmacisti al tavolo è rassicurante. Significa che si saranno ben fatti i conti in tasca e avranno stabilito un prezzo fisso sì, ma in grado di remunerare i loro costi e se possibile garantire loro un profitto. Non è a questo che serve il sistema dei prezzi? Tanto meglio, allora, se sulla spinta dell’emergenza si riesce a surrogarlo attraverso decisioni “politiche”, sulle quali tutte le parti in causa si accordano apertamente, evitando di andare in ordine sparso e di innescare una competizione “distruttiva”.
Se non fosse che non è a quello che servono i prezzi. I prezzi non sono determinati semplicemente dalla somma degli input quanto invece dal costo marginale. Non servono a remunerare il passato, le cose che sono già avvenute al momento della produzione. Ogni decisione economica riguarda invece il futuro: è una questione di utilità marginale attesa o prodotto marginale e costo opportunità attesi. Gli imprenditori ragionano su come prezzare ciò che producono pensando alle preferenze della gente quando il bene o il servizio arriverà sul mercato. Il problema economico non riguarda dare un “giusto riconoscimento” a chi ha sviluppato per primo una certa tecnica di testing, per esempio. Riguarda produrre quanto serve per soddisfare la domanda, allentando i vincoli di scarsità.
Il tampone rapido a 15 euro non costa né poco né tanto: era probabilmente un prezzo relativamente congruo nel momento in cui è stato firmato il Protocollo, in autunno. Il progresso delle vaccinazioni lasciava immaginare che il tampone avrebbe interessato una quota decrescente di persone non (o non ancora) vaccinate. Poi sono arrivato l’inverno e Omicron, la comunicazione governativa si è fatta più confusa, abbiamo cominciato a richiedere un tampone ai vaccinati che entrano nel Paese, affermando implicitamente che la protezione vaccinale non ci sembrava sufficiente. I virologi e gli altri opinion maker pandemici si sono alternati in televisione per spiegarci come fosse opportuno testarci prima del pranzo di Natale (oltre ovviamente ad abbassarci la mascherina solo fra una portata e l’altra). Le regole definiscono “contatto stretto” di un positivo non solo chi vive con lui o lei ma anche chi gli abbia stretto la mano o fosse seduto “entro due posti” da lui o lei su qualsiasi mezzo di trasporto. La domanda è cresciuta un po’ per le regole e un po’ per l’atteggiamento di prudenza che abbiamo, regole o meno, “caldamente raccomandato”. Altri Paesi, come il Regno Unito, fanno da tempo un numero di tamponi giornaliero paragonabile a quello dell’Italia in questo periodo natalizio: per noi si è trattato di una variazione importante.
A fronte di una domanda in crescita, un prezzo amministrato richiede una decisione “amministrativa”: serve un assessore o un ministro che decida chi può essere testato. In un Paese democratico e nel quale la pandemia è da quasi due anni la notizia d’apertura di ogni telegiornale, questo implica un dibattito pubblico nel quale diversi gruppi proclamano le loro giuste ragioni d’esser serviti per primi. E siamo a dove ci troviamo noi oggi.
Un prezzo “di mercato” fluttua, cambia, si evolve al mutare della domanda. Questo vuol dire che oggi i tamponi costerebbero molto di più? Forse sì ma quel “molto di più” darebbe un segnale chiaro, più capacità produttiva si attiverebbe per soddisfare la domanda e, nel giro di alcune settimane, un’offerta accresciuta produrrebbe un appiattimento dei prezzi.
Non siamo gli unici che stanno vivendo una “vampata” di domanda di test: lo stesso è avvenuto negli Stati Uniti, dove non c’è green pass, l’obbligo di vaccinazione è selettivo e l’obiettivo è consentire a quante più persone possibile di verificare il proprio stato di salute a casa. Con Omicron, negli Usa le parole “covid testing” vengono cercate su Google più di “covid vaccine” o “covid booster”. C’è chi sostiene, come l’ex commissario FDA Scott Gottlieb, che la proliferazione di strumenti diagnostici rappresenterà uno dei portati “positivi”, in termini di innovazione, di questa pandemia.
Perché ciò avvenga, però, gli incentivi devono essere chiari e quindi chi può deve essere portato a produrre ed effettuare test e se possibile a provare a migliorarne l’efficienza. Da noi questo non è avvenuto. La domanda si è accresciuta repentinamente, in ragione del clima alimentato da governo e media. Le code erano prevedibili. La presenza di un prezzo calmierato rallenta l’afflusso di segnali chiari al mondo della produzione. E’ perché aumenta il prezzo del gas in Europa, che i cargo degli esportatori americani cambiano rotta.
Aggiungiamo un problema specifico, legato alla distribuzione che è parte non del “bene” tampone ma del servizio che comprende la somministrazione di quel bene. Il fatto che non si accolgano gli appelli dei parafarmacisti, che vorrebbero somminitrare test antigenici anche nei loro esercizi, in omaggio a un patto non scritto coi farmacisti titolari, è una ferita autoinflitta. Se il prezzo amministrato è stato fissato a un livello alto a sufficienza da non inficiare gli approvvigionamenti, comunque un tampone viene effettuato da persone che sono presenti in numero limitato: in farmacia, nei centri diagnostici, nelle strutture ospedaliere. Sotto stress, sarebbe utile averne di più, soprattutto quando ve ne sono di evidentemente qualificati a rendere il servizio come i laureati in farmacia che lavorano nelle parafarmacie.
Purtroppo, non solo non si ragiona di restituire terreno al sistema dei prezzi ma gliene si vuole sottrarre. Ora che il governo ha imposto l’uso delle mascherine ffp2 nei cinema e nei teatri, c’è già chi parla di un prezzo amministrato anche per quelle. Sarebbe una misura di “equità”.
Già Alessandro Manzoni aveva ben compreso come purtroppo una volta che si sceglie di non utilizzare il sistema dei prezzi poi è difficile tornare indietro, perché ogni problema creato dall’intervento originario “giustifica” interventi ulteriori, forieri di ulteriori problemi.
È poi facile anche vedere, e non inutile l'osservare come tra quegli strani provvedimenti ci sia però una connessione necessaria: ognuno era una conseguenza inevitabile dell'antecedente, e tutti del primo, che fissava al pane un prezzo così lontano dal prezzo reale, da quello cioè che sarebbe risultato naturalmente dalla proporzione tra il bisogno e la quantità.
Questo prezzo “risultato naturalmente dalla proporzione tra il bisogno e la quantità” è spesso liquidato come qualcosa che va bene al massimo per circostanze “normali”, per beni di carattere voluttuario, guai a metterlo in campo nell’emergenza. Quando sale la febbre, la tentazione è sempre quella di rompere il termometro. Eppure proprio le variazioni di prezzo ci possono fornire informazioni preziose per orientarci in una situazione nella quale si intrecciano problemi e necessità che è difficile prevedere, oltre a quelle che sarebbero conseguenze prevedibilissime della comunicazione pubblica, se solo ci si prestasse attenzione.