Alessandro Manzoni è morto il 22 maggio 1873 e abbiamo innanzi alcune settimane di celebrazioni manzoniane: che poi vuol dire qualche mostra e qualche lettura pubblica del romanzo e, mi sembra, non molto altro da segnalare. Il mio consiglio sarebbe di tornare semplicemente a Manzoni, rileggere (e se è la settima volta, non temete, vi stupirà ancora) il romanzo, o, perché no, ascoltarlo (ce n’è una versione bellissima, con la voce di Claudio Carini, e un’altra letta da Paolo Poli), visto che ieri era il Cinque Maggio goderselo recitato da Gassman, magari mettere il naso nelle Osservazioni sulla morale cattolica, se non l’avete mai fatto.
Luigi Einaudi, che apparteneva a una generazione cresciuta a pane e Promessi sposi, più volte scrisse della sua ammirazione per l’opera, e non in quanto semplice lettore, ma in quanto economista, in quanto scienziato sociale. Per un certo periodo credette pure che la sua lettura potesse non tanto trasferire semplici rudimenti di economia, ma aiutare a comprendere le maggiori scoperte della scienza economica: ovvero la possibilità di un ordine autopoietico il quale, pur senza essere “ordinato” da nessuno e proprio perché non viene “ordinato” da nessuno, riesce a garantire che le risorse a disposizione di una certa società arrivino a essere impiegate là dove la loro resa è la migliore. Processo, questo, non facile, non automatico, spesso doloroso per quanti vi sono immediatamente coinvolti, eppure meno rigido e inefficiente dell’alternativa disponibile.
Manzoni spiega bene come funziona il sistema dei prezzi, ci dimostra come ben peggiori siano le alternative. Indaga la psicologia dell’interventismo: ben consapevole dei limiti (a voler usare un eufemismo) del dominio spagnolo di Milano, ci spiega come pure quando siamo ben lontani da un contesto democratico-rappresentativo in qualche misura sono sempre i sudditi o cittadini che siano, e le loro credenze, a determinare quali sono le politiche possibili e quali no. Il romanzo è pieno di pagine, in questo senso, straordinarie, ben note a critici e studiosi come esempio del “liberalismo” di Manzoni ma che tanto spesso passano inosservate. Vuoi perché siamo inebriati dalla potenza della sua prosa, vuoi perché siamo meno bravi a leggere di quanto crediamo.
Il bello della società libera è che non è in senso stretto “meritocratica”, ma siamo liberi anche di fare le cose che non siamo granché capaci di fare. Non sono solo le Martha Argerich e i Grigory Sokolov a poter suonare il pianoforte. Per questo nelle scorse settimane ho registrato un Podcast in quattro puntate su Alessandro Manzoni. L’economia, la politica, i Promessi sposi. Il primo episodio sarà disponibile domani, per esempio su Spreaker o su Apple Podcast o su Spotify, insomma sulle maggiori piattaforme. Ho provato a ripercorrere, semplificando e sintetizzando, i sentieri delle idee su cui il giovane Manzoni si era inerpicato e poi a vedere perché quelle idee conducono alla sensibilità che Luigi Einaudi incorniciò in parole così nette: il romanzo di Manzoni è “uno migliori trattati di economia politica che siano mai stati scritti”. Io ne sono persuaso, chissà che mi riesca di convincere anche qualcun altro. Il Podcast è scaricabile e ascoltabile da domani.