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A che servono gli anniversari? Perché celebriamo la ricorrenza della morte, in questo caso, o della nascita di un grande personaggio del passato, per giunta uno scrittore, le cui opere possiamo frequentare senza attendere le feste comandate? La mia impressione delle celebrazioni dei centocinquant’anni della morte di Alessandro Manzoni è che si sia trattato di una liturgia stanca, un omaggio che s’aveva da fare per coerenza con l’oleografia patriottica. Manzoni è un vecchio zio per cui si fa dire una messa di suffragio ma di cui si rammentano a malapena alcuni tratti del viso.
Il Presidente della Repubblica, che ha portato una corona di fiori sulla tomba di Manzoni, ha fatto un discorso di quelli che ci piace dire “alti” ed effettivamente Sergio Mattarella di cose ne ha dette, ha alluso ad alcuni scontri fra interpreti, le parole più autentiche le ha dedicate al ricordo di qualche scena del romanzo. Ma il Manzoni del Presidente della Repubblica, e non potrebbe essere altrimenti, è una figurina del grande album delle glorie nazionali. Il centro di tutto è che egli fu un alfiere dell’unificazione. Cosa che, ovviamente, don Lisander era. E’ quello il motivo per cui va ricordato? Per lo slancio patriottico? Perché fu senatore del Regno? Perché da cattolico liberale non teneva in gran conto il potere temporale del Papa?
Manzoni, citato da Mattarella come fustigatore dell’idea che vi fosse più d’un tipo di italiano, era anche quello che descrive l’incupirsi del cuore di Renzo e Lucia quando lasciano il loro lago e le loro montagne, nel suo indagare il guazzabuglio del cuore umano s’era imbattuto in quel senso di appartenenza, quell’identità, che specie in Italia non si identifica con la “nazione” ma sostanzialmente col municipio, con realtà ben più prossime e care al singolo individuo. Il tanto sbandierato patriottismo di don Lisander non gli impedisce di scrivere il meno tronfio dei romanzi, dove non ci sono bandiere che garriscono al vento e il Potere è rappresentato, sempre o quasi, come una banda di gaglioffi. Manzoni passa il carattere delle persone al microscopio ed è questo che lo ha reso immortale. Della sua partecipazione allo spirito del suo tempo possiamo non saper nulla e non ci godremo il romanzo di meno.
Gli anniversari non sono per i morti, sono per i vivi. Un cinico lamenterebbe che fanno parte del palinsesto dell’industria culturale, sono un’occasione per medaglioni biografici, conferenze e dibattiti, letture pubbliche, ristampe economiche, perché no? per un Podcast e iniziative simili. E in realtà non c’è niente di male, e anzi c’è molto di bene, se tutto questo porta a tornare alle pagine del grande di cui si arrabatta un ricordo, per quanto posticcio. Ricordare l’uomo dovrebbe servire a leggere l’opera.
Le iniziative, a dire il vero non tante e nemmeno brillantissime, del mese scorso hanno sortito un effetto simile? Siamo stati capaci di accendere un poco di curiosità, per l’opera se non per l’uomo, o abbiamo ripetuto dei cliché? Alla fine il massimo che si è detto è che del cattolicesimo di Manzoni, per esempio, non valesse la pena parlare, che andasse in qualche modo “sterilizzato”. Baciapile era un baciapile, eh, ma almeno sostenne l’Unità d’Italia. Capperi. Il più grande scrittore in lingua italiana di sempre lo celebriamo in quanto figura minore del Risorgimento. Sai, era il suocero di Massimo d’Azeglio…
Spero di sbagliare ma i brutti trailer tengono a casa gli spettatori.
Dove fallisce lo Stato per fortuna arriva il mercato. A una grande iniziativa manzoniana ha pensato non un ministero, ma la Disney. Non per l’imbarazzo del dovere istituzionale, ma il gusto del profitto, ci ha dato un libretto che si può mettere in mano a un ragazzino, sperando ne faccia, un giorno, un lettore dei Promessi sposi.
Questo PaperManzoni ripropone una storia ormai classica, i Promessi paperi di Edoardo Segantini e Giulio Chierchini. Corre l’anno 1976, il romanzo viene parodiato con garbo e con stile, non per “trasporre” Manzoni a fumetti ma per mettere nell’orecchio dei giovani lettori il giro armonico dei Promessi sposi, le citazioni e le frasi che si ripetono talora senza ricordare da dove vengono, un canovaccio che riprende e adatta personaggi e situazioni. La Rompiscatole lombarda/Brigitta assedia Don Paperigo/Paperone, che vuole farla sposare a Renzo/Paperino: questo matrimonio s’ha da fare, intimano i Bravi/ Bassotti. La storia è tutt’altra e giustamente Topolino non si mette a pasticciare con Renzo e Lucia. Ma restano nell’orecchio prima ancora che le parole i suoni e il ritmo, che sono i mattoncini Lego della letteratura.
A quel fumetto, si aggiunge un racconto di Augusto Macchetto illustrato meravigliosamente da Giada Perissinotto e Lorenzo Pastrovicchio (splendidi i colori di Andrea Cagol). Affascinante il backstage del racconto illustrato.
PaperManzoni immagina l’Alessandro (Paperino) bambino, affidato alle cure della balia contadina, Caterina Panzeri, cui viene consegnato da suo padre Pietro, sua madre Giulia all’epoca in altre faccende affaccendata. Alessandro ha un amico, che si chiama Tonio, come poi il compare di Renzo. La storia ha la poesia delle cose semplici ed è incorniciata da una citazione delle più famose dei Promessi sposi: “Una delle più gran consolazioni di questa vita è l’amicizia”. Il lettore, non solo quello di giovanissima età, finisce per pensare: ma Alessandro Manzoni ha il becco come Paperino. Non può esserci pubblicità migliore.
In questo nostro Paese troppi anni di lettura obbligata di Manzoni sono riusciti nell’impresa di rendercelo tedioso. L’esibizione pubblica della memoria rischia di aggiungere danno a danno, trasformando i Promessi sposi in quello che proprio non sono: una storia pomposa. Per fortuna che c’è chi restituisce, soprattutto ai più piccoli, con pochi sapienti tratti, la curiosità di leggerlo.
Augusto Macchetto, Giada Perissinotto e Lorenzo Pastrovicchio, PaperManzoni, Firenze, Giunti, 2023, pp. 128