Fra le persone impegnate a “migliorare se stesse”, leggere è un’attività molto popolare. Bill Gates ha più volte dichiarato di leggere cinquanta libri l’anno, Mark Zuckerberg lo segue a ruota, Elon Musk una volta ha spiegato di essere stato “cresciuto dai libri”. Noialtri ci lamentiamo che non se ne leggono abbastanza e che all’Università gli studenti per prepararsi agli esami si nutrono di slides stando alla larga dai testi pure loro assegnati. La risposta di editori e scrittori a questo stato di cose sembra essere il tentativo di trasformare il libro in uno status symbol. Alcuni uomini di grande successo pensano di fare bella figura raccontando di leggere tantissimo: in questo modo, forse, gli intellettuali perdoneranno loro i molti miliardi di cui sono gravati. L’industria culturale prova a farne un modello. I social si riempiono di gente che, fra la fine dell’anno e i primi mesi di quello nuovo, infligge a follower e amici la lista di saggi e romanzi letti nei dodici mesi precedenti. Come dire, caro Elon, hai visto che facciamo parte dello stesso club?
“Conosco gente che passa il tempo a leggere, e per il bene che ne traggono potrebbero benissimo passare il loro tempo tagliando pane e burro. Si dedicano alla lettura come gli uomini migliori si dedicano al bere. Volano attraverso i territori della letteratura su un'auto a motore, il cui unico obiettivo è il movimento. Vi diranno quanti libri hanno letto in un anno...”
Arnold Bennett lo scrive in un delizioso libretto di self help, composto di articoli che aveva scritto sull’Evening News nel 1907. La frase che ho citato è solo una delle tante che parla ancora, a un secolo abbondante di distanza, a un pubblico pure diversissimo da quello a cui pensava il romanziere inglese. Bennet si rivolge ai “colletti bianchi” sfornati dalla Rivoluzione industriale. Il suo manualetto non è pensato per “quegli individui fortunati e felici (forse più felici di quanto non s’avvedano)” che hanno una sincera passione per i propri doveri e traggono gioia dallo svolgere il proprio lavoro. “Nella maggior parte dei casi l'individuo medio non prova una vera e propria passione per il proprio lavoro, al massimo non lo disprezza. Inizia le sue attività con una certa riluttanza, il più tardi possibile, e le connclude il più presto possibile. E i suoi motori, mentre è impegnato al lavoro, raramente sono al massimo dei giri”.
Coloro che si dedicano alle loro mansioni quotidiane con gusto, nota Bennett, hanno meno bisogno di chi spieghi loro come trarre il massimo dal proprio tempo. Ma anch’essi, se spremono fino in fondo le loro otto ore di lavoro (siamo a inizio Novecento) quotidiane, probabilmente le altre otto le organizzano male, o magari le buttano proprio via.
Bennett scrive soprattutto per gli altri, quelli che ammazzano il tempo alla bell’e meglio. All’epoca la parsimonia è ancora un valore e sono molti a dispensare consigli su come vivere con una certa cifra, come risparmiare una certa quota del proprio salario, come guadagnarsi qualche piccolo lusso anche se si svolge un lavoro umile. “Siamo tutti ministri del tesoro”. Non lo siamo però del nostro tempo. Quest’ultimo è
un bene singolare. Non può esserti rubato, E nessun altro ne riceve né più né meno di quanto ne hai ricevuto tu. E’ una sorta di democrazia ideale. Nel regno del tempo non c’è aristocrazia del denaro e non c’è aristocrazia dell'intelletto. Il genio non è mai premiato neppure con un’ora in più al giorno. E non ci sono punizioni. Butta pur via questo bene così infinitamente prezioso, e l’offerta di tempo nondimeno non ti verrà interdetta. Non c’è misterioso potere che dica: "questo tipo è un fesso, se non un briccone. Non si merita il suo tempo”. Inoltre, non puoi fare assegnamento sul futuro. E’ impossibile finire per indebitarsi. Puoi soltanto sprecare l’attimo presente.
Lo scrittore inglese offre il suo “programma” a tutti coloro che vogliono fare un po’ di più che mostrarsi diligenti in ciò “che ci sentiamo moralmente obbligati a fare”, ovvero “mantenere noi stessi e le nostre famiglie, pagare i nostri debiti, risparmiare, accrescere la nostra prosperità aumentando la nostra efficienza”. Tutti compiti, beninteso, ben difficili, “che pochi di noi riescono a realizzare”. Eppure, “il desiderio di realizzare qualcosa di più oltre il programma formale in cui siamo tutti impegnati è comune a quanti nel corso dell’evoluzione sono ascesi oltre una certa stazione”.
Il suggerimento di Bennett è in buona sostanza quello di provare ad autoeducarsi, eliminando una dopo l’altra le diverse scuse dietro le quali ci nascondiamo. Tale autoeducazione, però, non consiste esclusivamente nella lettura, anzi “la letteratura non comprende affatto l'intero campo dello scibile” e “la sete di migliorare se stessi, di accrescere le proprie conoscenze, può essere soddisfatta anche al di fuori della lettura”. Chi ama leggere oltre a leggere dovrebbe provare a pensare, ritagliarsi un momento per riflettere sulle parole che ha rincorso pagina dopo pagina, se si tratta di un tema che lo interessa per davvero tornarci continuamente. I romanzi, per l’autore di Anna delle Cinque Città, non sono una “lettura seria” del tipo cui dovrebbe dedicare novanta minuti, tre giorni la settimana, la persona dedita all’automiglioramento. Questo perché “i cattivi romanzi non andrebbero letti e quelli buoni non richiedono alcun apprezzabile sforzo mentale”, vanno giù come l’acqua, stupiscono e intrattengono. I giornali, poi, andrebbero letti solo nei ritagli di tempo: sacrificare loro un’ora e mezza di “perfetta solitudine” è puro autolesionismo.
Un po’ di sforzo, del tipo che vale la pena fare, verrebbe invece dalla lettura di Epitteto e Marco Aurelio, che Bennett raccomanda di leggere la sera (“tanto i loro capitoli sono molti corti”) per poi meditarci la mattina successiva, o viceversa. Coi maestri dello stoicismo, per quanto la loro chiarezza sia fuori discussione, si fa più fatica, e la fatica è ciò che serve alla testa. E’ il modo in cui la si tiene in esercizio.
Meglio ancora della filosofia è la poesia:
La poesia immaginosa produce uno sforzo mentale di gran lunga superiore a quello dei romanzi. È probabilmente la più dura di tutte le forme di letteratura. È la forma più alta di letteratura. Produce la più alta forma di piacere e insegna la più alta forma di saggezza. (…) Sono convinto che molte ottime persone, se dovesse scegliere fra leggere il Paradiso Perduto o andare in giro per Trafalgar Square a mezzogiorno in ginocchio e vestiti di stracci, sceglierebbero di esporsi al ridicolo. Tuttavia, non smetterò mai di consigliare ai miei amici e ai miei nemici di leggere la poesia prima di qualsiasi altra cosa.
Esercitare la mente, assumere il possesso pieno delle proprie facoltà, è la premessa per disporre davvero del proprio tempo. Bennett è convinto che quando ci lamentiamo di non esserne capaci, per esempio quando diciamo di non riuscire a concentrarci quanto vorremmo, sia semplicemente perché non ci proviamo. Attualizziamo l’argomento. Mentre state leggendo questa recensione (che pure non merita certo la vostra attenzione indivisa), con tutta probabilità avete ricevuto un paio di messaggi Whatsapp, diverse notifiche di Instagram, una e-mail o due. Come fare a trovare tempo per sé, sotto questo bombardamento? Spegnendo il telefono, attivando la funzione “non disturbare” che Apple ci mette a disposizione, magari non rispondendo proprio a tutte le telefonate che ci arrivano (fra l’altro, per buona parte vogliono vendervi un nuovo depuratore per l’acqua potabile o convincervi a cambiare operatore telefonico). Ciò che Bennett non poteva immaginare era che il confine fra le otto ore di lavoro e le altre fosse destinato a diventare poroso, come è ormai nel terzo millennio. Quando in molti prendono il mettere un like all’ultimo post del proprio capo come un dovere implicito nel contratto di lavoro e usano i social per dimostrare quanto siano dannatamente impegnati. Modesta regola del pollice: le persone che lavorano tanto, di solito, non si lamentano di lavorare troppo.
Non è però solo questione di eliminare le distrazioni. Bisogna sapere che la nostra mente è il muscolo che ci obbedisce più facilmente, farle fare esercizio, cosa che fra l’altro è possibile senza salire su un tapis roulant. La lettura è uno strumento, non è l’unico.
L'arte è una cosa fantastica. Ma non è la più grande. La più importante di tutte le percezioni è la percezione continua di causa ed effetto - in altre parole, la percezione del continuo sviluppo dell'universo - in altre ancora, la percezione dell'evoluzione. (…) L'uomo per il quale l'evoluzione è solo un nome guarda al mare come a uno spettacolo grandioso e monotono, al quale può assistere in agosto per un biglietto di terza classe, andata e ritorno, del costo di tre scellini. L'uomo che è imbevuto dell'idea di sviluppo, di causa ed effetto continui, percepisce nel mare un elemento che nell'altro ieri della geologia era vapore, che ieri era in ebollizione e che domani sarà inevitabilmente ghiaccio.
Per nutrire la propria curiosità, val la pena prendersi un’ora e mezza tre sere a settimana e val la pena soprattutto svegliarsi prima la mattina. “La mia impressione è che la conseguenza dell'alzarsi prima la mattina non sia affatto un'insufficienza di sonno. La mia impressione, che si rafforza ogni anno di più, è che il sonno sia soprattutto una questione di abitudine e di trascuratezza. Sono convinto che la maggior parte delle persone dorma così a lungo perché non ha altri svaghi”.
La prima ragione per leggere How To Live On 24 Hours A Day è che è scritto meravigliosamente, cosa che tenderei a immaginare la maggior parte dei libri di self-help non siano. La seconda è però il genere d’individualità che Bennett tratteggia. L’impiegato (questo il tipo umano che ha in mente) non deve essere una maschera fantozziana, trascinata dagli eventi. La sua traduzione contemporanea dei maestri stoici è un’esortazione a controllare un po’ di più la propria vita, per non ritrovarsi ad esserne passeggeri. Con la duplice consapevolezza che “nulla è noioso” (o almeno che niente lo è necessariamente) e che “la terra andava avanti abbastanza comodamente prima che si cominciasse a far quadrare il bilancio delle ore e continuerà ad andare avanti altrettanto comodamente che si riesca o meno nel nuovo ruolo di ministro del tesoro del tempo”. Autoeducarsi è una cosa che bisognerebbe fare per l’appunto per sé, non per pubblicare la lista dei settantadue libri letti nelle ultime cinquantadue settimane.
Ciò detto, se la lista dei libri sprona altri a leggerne o se semplicemente è il modo per incontrare qualche titolo inconsueto, che male c’è nel farla? Nessuno, a patto che si sappia che vantarsi delle pagine lette non è diverso dall’esibire una macchina sportiva o la lista delle proprie fidanzate. Non è che queste altre cose sono “volgari” e la prima no.
I corsi all’Università riprendono la settimana ventura e come sempre i nostri studenti (per i quali la vita sui banchi non è certo più dura di quanto lo fosse per i loro genitori) si lamenteranno delle troppe letture, che le facciano o meno, e degli studi che strangolano il loro tempo. Varrebbe la pena regalare a tutti una copia del libro di Bennett, non per obbligarli a seguirne i consigli, va da sé, ma solo perché almeno sappiano che “vivere appieno la propria giornata” è senz’altro difficile ma non è una possibilità preclusa agli umani.
Arnold Bennett, How To Live On 24 Hours A Day, 1908, varie edizioni, pp. 75.