Nel suo Dire quasi la stessa cosa, Umberto Eco saggiamente scriveva che
La conclamata “fedeltà” delle traduzioni non è un criterio che porta all’unica traduzione accettabile (per cui è da rivedere persino l’alterigia o la condiscendenza sessista con cui si guarda talora alle traduzioni “belle ma infedeli”). La fedeltà è piuttosto la tendenza a credere che la traduzione sia sempre possibile se il testo è stato interpretato con appassionata complicità, è l’impegno a identificare quello che per noi è il senso profondo del testo, e la capacità di negoziare a ogni istante la soluzione che ci pare più giusta.
L’intensità di questa passione del traduttore contribuisce in misura non piccola alla fortuna di un autore in una lingua che non è la sua. Alessandro Manzoni non sapeva l’inglese e anche autori che ebbero una forte influenza su di lui, come Shakespeare o Walter Scott, li lesse in traduzione, italiana o francese. La prima traduzione dei Promessi sposi in lingua inglese risale al 1828. Il romanzo manzoniano fece una grande impressione. E’ noto che nel 1838 William Gladstone volle incontrare “il celebre autore” in un suo viaggio a Milano, trovandolo “un poco stravagante” e ben disposto verso “quella bella Inghilterra, tanto distinta in cotanti aspetti”. Meno noto forse che il romanzo piacque a Edgar Allan Poe e Ralph Waldo Emerson, in America, e in Inghilterra a Mary Shelley, che lo lesse in italiano. Manzoni fu un autore influente nel revival cattolico seguito al Catholic Relief Act del 1829. Fra’ Cristoforo si era “conficcato come un dardo” nel cuore di John Henry Newman.
In anni più recenti, Manzoni non è stato granché letto. Nonostante due traduzioni importanti, quella di Archibald Colquhoun negli anni Cinquanta e quella di Bruce Penman negli anni Settanta, il libro appartiene a un numero ridotto di lettori, specialisti e appassionati di cose italiane, è percepito come lontano e polveroso, sfugge ai più, fuori d’Italia, lo straordinario laboratorio di parole di Manzoni
Recentemente è apparsa nelle librerie americane una nuova traduzione de I promessi sposi, a opera di Michael F. Moore. Moore lavora per le Nazioni Unite e ha già tradotto Primo Levi e Alberto Moravia.
Nella sua prefazione, la scrittrice premio Pulitzer Jhumpa Lahiri descrive quella di Moore come una “traduzione epica” e sottolinea come il suo obiettivo sia stato quello di “modernizzare Manzoni, e quindi di rendere questa opera classica della letteratura italiana vivace e contemporanea”.
Per quel che vale il giudizio di un non madrelingua inglese, la “traduzione epica” di Moore a me sembra un successo. Rende giustizia alla lingua scintillante di Manzoni ed è un piacere leggerlo, per una volta, in inglese anziché in italiano. Un brevissimo saggio. “There is a saying that, when it comes to friends, you should have very few but to those few be very close. Donna Prassede applied the same rule to ideas: including, unfortunately, many that were bad, which were not the ones she cherished the least”.
Le parole sono scelte con amorevole cura. In un'intervista a un giornale italiano, Moore ha spiegato di aver condotto ricerche approfondite, ad esempio ha tradotto "Azzeccagarbugli" (che in seguito è diventato un soprannome universale per gli avvocati che gonfiano le parole a scapito della sostanza) con "Argle-Bargle", un termine usato in una dissenting opinion dal giudice Antonin Scalia. C’è davvero, insomma, “appassionata complicità” da parte di Moore. Speriamo valga finalmente al romanzo di Manzoni la fortuna che merita, anche fuori dai confini italiani.
Alessandro Manzoni, The Betrothed, translated and with an introduction by Michael F. Moore, New York, Modern Library, 2022, pp. 668