Nel 1968, Eric Hoffer viene invitato a partecipare al programma di David Frost che, ritrasmesso in Inghilterra, ne fa istantaneamente un fenomeno anche in quel Paese. Rara (per noi, oggi, inimmaginabile) apparizione televisiva di un autentico saggio, il “filosofo portuale” è a suo agio davanti alle telecamere.
Sull’onda di questa popolarità, un editore londinese si inventa un libro: il cuore è un bel profilo di Hoffer, scritto da Calvin Tomkins, che lavora al New Yorker ed è uno specialista in interviste e ritratti. Per il resto il volume è composto di trenta aforismi illustrati da bellissime foto di George Knight.
Tomkins racconta Hoffer, la sua vita, le sue abitudini la sorpresa di avere trovato fra gli scaricatori di porto di San Francisco un pensatore raffinato, lucido e sorprendentemente “in pace” con sé e il mondo, in un’epoca di ingegni infuriati. Racconta come le idee gli venissero mentre lavorava al porto, magari scaricando merci pesanti, e di come le mettesse a punto facendo una passeggiata nel parco, un’oretta e mezza solo con se stesso. In una stanza o all’aria aperta, Hoffer solo con se stesso era a suo agio.
Tomkins mette in fila alcuni dei suoi pensieri. Siccome Tomkins ha scritto su Lichtenstein e Duchamp e si è occupato di avanguardie artistiche, mi piace citare una considerazione di Hoffer proprio su questo tema. Da dove viene l’innovazione, chi sono gli innovatori, perché a un certo punto fanno quel che fanno.
Il filosofo portuale era sui docks e si trovava a lavorare con un collega "così goffo e inetto che gli altri si preoccupavano di evitare di lavorare con lui". Lo stupì molto che questi si offrisse di dare una mano a chiunque ne avesse bisogno.
Cominciai a chiedermi come mai questo tizio, che non era in grado di fare il proprio dovere, fosse così desideroso di fare cose al di sopra e al di là del suo dovere. E il modo in cui me lo spiegai fu che se sei maldestro nel fare il tuo dovere, apparirai ridicolo, ma che non apparirai mai ridicolo nell'aiutare gli altri - nessuno riderà di te. Quell'uomo stava cercando di scivolare in una situazione in cui la sua goffaggine non sarebbe stata evidente. Ho iniziato a pensare all'avanguardia, al pionierismo nell'arte, nella letteratura. Ho pensato che tutte le persone senza vero talento, senza abilità, sia come scrittori che come artisti e così via, cercheranno di andare alla deriva in una situazione in cui la loro goffaggine apparirà naturale e prevista. Quale sarà questa situazione? Naturalmente l'innovazione. Tutti si aspettano che il nuovo sia malformato, goffo. Gli innovatori sono probabilmente le persone senza un vero talento, ed è per questo che praticamente tutta l'arte d'avanguardia è brutta. Ma queste persone, gli innovatori, hanno un ruolo necessario da svolgere, perché impediscono che le cose si ossifichino, tengono aperti i cancelli.
Nella Prefazione, un altro peso massimo del giornalismo, Eric Sevareid, scrive
Hoffer ha fatto sentire milioni di americani confusi e in difficoltà molto meglio nei confronti del loro Paese. Ha levato i loro veli di una presunta sofisticazione e, in modi nuovi, ha mostrato loro di nuovo le vecchie verità sull'America e il motivo per cui esse rimangono vive e valide. Lo scopo dei filosofi, dice, è quello di mostrare alle persone ciò che hanno sotto il naso.
Di Hoffer e l’America scrivo in un lungo articolo sul numero di questo week-end del Foglio (si tratta, lo prometto, dell’ultima volta che parlo di Hoffer, almeno per un po’).
Calvin Tomkins, Eric Hoffer. An American Odyssey, London, Michael Joseph, 1969, pp. 100