It usually begins with Ayn Rand. Così Jerome D. Tuccille intitolava un libretto di gusto satirico, una sorta di storia del movimento libertario visto dall’interno e che poco risparmiava ai suoi protagonisti. A “cominciare di solito con Ayn Rand” è stato, in effetti, il percorso di un paio di generazioni di libertari americani. Mentre i maggiori pensatori di questa corrente di pensiero sono stati, con rare eccezioni (come il filosofo Robert Nozick, che pure non aveva nessuna intenzione di fare il leader di un movimento cultural-politico e se ne allontanò presto), figure di culto sì ma in ambienti assai ristretti, Ayn Rand (1905-1982), al secolo Alisa Rosenbaum, ha venduto milioni di copie e dai suoi romanzi sono stati tratti due film non irrilevanti. La fonte meravigliosa di King Vidor, sceneggiato da Rand medesima, con Gary Cooper e Patricia Neal, nel 1949 e sette anni prima Noi Vivi, di Goffredo Alessandrini con Alida Valli e Rossano Brazzi: la pellicola venne girata senza consultare l’autrice e pagare i diritti d’autore, del resto c’era la guerra e l’umanità era in altre faccende affaccendata. Ho visto il film, di recente, all’interno in una mini-rassegna organizzata alla IULM per i quarant’anni dalla morte di Rand e a me ha fatto una grande impressione. Molte le voci e i volti, indimenticabili, del cinema italiano di quegli anni, accorta la regia, forte l’afflato anti-totalitario che non a caso spinse il regime a ritirare presto Noi Vivi dalle sale.
La storia almeno in parte riflette la giovinezza dell’autrice a San Pietroburgo, con le umiliazioni subite, in quanto “borghese”, all’alba dell’Unione Sovietica. Rand riesce ad andarsene e non si volta più indietro (neanche per avere notizie della famiglia), arriva negli Stati Uniti e vive il suo sogno americano: diventare scrittrice e sceneggiatrice, imparando l’inglese cammin facendo. Si convince che la determinazione nella vita può tutto o quasi, se le condizioni istituzionali sono tali da consentire all’individualità di esprimersi. Mentre l’America, dopo la Depressione e il New Deal, sembrava volersi avvicinare all’Europa, tocca a un’immigrata russa scuoterla e ricordarle gli ideali politici dei suoi Padri Fondatori.
I romanzi di Rand hanno venduto oltre trenta milioni di copie e continuano a esercitare un’influenza significativa. A un certo punto da scrittrice si fece filosofa, imbastendo una sua dottrina, l’ “oggettivismo”, di cui uno studioso non può che dir male per definizione: come si permette una romanziera, per giunta popolare, d’invadere i nostri spazi? Il manifesto più rotondo ed efficace della visione randiana è il lunghissimo monologo di John Galt ne La rivolta di Atlante, cui fecero seguito molti articoli, raccolti poi in diversi volumi. Come questo Capitalismo: l’ideale sconosciuto (1966) nel quale figurano anche saggi dello storico Robert Hessen e di Alan Greenspan, il futuro chairman della Federal Reserve cui si debbono auree pagine su gold standard e libertà economica.
Secondo Rand,
Il capitalismo è il sistema sociale basato sul riconoscimento dei diritti individuali, compresi i diritti di proprietà, in cui tutta la proprietà è posseduta privatamente.
Come ha ricordato Nicola Iannello, il capitalismo per Rand è “un ideale e anche un tipo ideale nel senso weberiano del termine: non solo un obiettivo da perseguire con passione e difendere con razionalità, ma altresì un concetto distillato in purezza per confrontarlo con la realtà”. La realtà dei tempi di Rand era quella dell’economia mista e di un “consenso” politico che considerava l’individualismo un’anticaglia e il singolo nella migliore delle ipotesi materiale per costruire edifici sociali di un tipo o di un altro.
Come pensatrice, Rand sarà pure una “semplificatrice” (questa la più benevola fra le critiche dei filosofi di professione) ma ha il duplice pregio di parlar chiaro e di porre le questioni di fondo:
L’uomo è un individuo sovrano proprietario della sua persona, della sua mente, della sua vita, del suo lavoro e del relativo prodotto; oppure è proprietà della tribù (Stato, società, collettivo) che può disporne in ogni modo le aggradi, che può fissare le sue condizioni, prescrivere il corso della sua vita, controllare il suo lavoro ed espropriarne il prodotto? L’uomo ha il diritto di esistere per se stesso, oppure è nato in catene, come un servo vincolato che deve continuamente riscattare la sua vita servendo la tribù, ma non può mai acquisirla nella sua completa libertà?
La questione fondamentale è unicamente: l’uomo è libero?
Negli anni in cui stiamo vivendo il capitalismo non è un ideale meno sconosciuto di quanto lo fosse quando Rand firmava queste pagine, anzi tendiamo a fare ancora più confusione accompagnandolo con aggettivi impropri (“politico”, “cinese”, “sociale”) mentre forse mai come adesso del singolo individuo, con il suo coraggio e la sua vigliaccheria, il suo genio e le sue miserie, non importa niente a nessuno. Capitalismo: l’ideale sconosciuto è una lettura perfetta per questi tempi.
Ayn Rand, Capitalismo: l’ideale sconosciuto, con scritti di Alan Greenspan e Robert Hessen (1966), Macerata, Liberilibri, 2022, pp. 216