Slava Kurilov, oceanografo di fama, continuava a richiedere un visto alle autorità sovietiche per fare ricerca su un nave straniera. La risposta era sempre la stessa: “Riteniamo inopportuno che il compagno Kurilov visiti stati capitalisti”.
Gli rimane solo un’alternativa: fuggire. Per questo s’imbarca su una nave passeggeri, a Vladivostok. Quando la nave si trova nelle prossimità delle Filippine, e in particolare a circa dieci miglia nautiche dall’isola di Siargao, lui abbandona la cena, scende sul ponte inferiore, e salta. Si getta in mare. “Mi resi finalmente conto di essere solo nell’oceano. Non c’era niente e nessuno che potesse aiutarmi e le mie possibilità di raggiungere vivo la costa erano invero molto scarse. E tuttavia, in quel momento, la mia mente notò filosoficamente: «adesso sei assolutamente libero»”.
Questo libro è il frutto del lavoro congiunto di un grande storico, Norman Stone, e di un grande traduttore, Michael Glenny, che prestò la voce a Gogol, Bulgakov, Nabokov, e tradusse anche l’autobiografia di Boris Eltsin. Insieme al loro team, condussero uno straordinario esperimento di “storia orale”. Raccontare le emigrazioni russe: le classi colte che fuggirono dopo la Rivoluzione, gli ucraini che dopo la seconda guerra mondiale se ne andarono memori dell’Holodomor, gli ebrei che presero la via di Israele.
In tutte queste “tre ondate”, sostengono Glenny e Stone, gli emigranti “sono rimasti assieme”, formando comunità coese ovunque andassero. L’antisemitismo è un tema ricorrente. Iosif Emanulovich Duyk racconta degli allievi di sua moglie, insegnante, che a sentir parlare di Babii Yar dicevano “peccato che non abbiano ammazzato tutti gli ebrei”. Dell’eccidio degli ebrei di Kiev, per opera dei nazisti e dei loro sodali locali, colpevolmente ci ricordiamo di rado, nonostante la lancinante sinfonia di Shostakovic.
Le vicende che racconta questo libro sono molte e diverse e grazie a Stone e Glenny non ne andrà persa la memoria. La Storia con la esse maiuscola, quella di cui in molti si riempiono la bocca in queste settimane, altro non è che la somma delle storie dei singoli e queste sono un impasto di avventura e noia, di dolore e gioia, di nobiltà e meschinità. E’ comprensibile, dunque, che dalle parole di chi riuscì a fuggire dall’Unione Sovietica oltre al sollievo della fuga dal male emerga anche il rimpianto, la nostalgia, l’eco di una grande cultura che non si può ridurre alla politica e alle trame dei potenti.
Michael Glenny & Norman Stone, The Other Russia: The Experience of Exile, London, Faber & Faber, 1990, pp. 476