Nel 1976 Friedrich von Hayek pubblica un pamphlet intitolato La denazionalizzazione della moneta. Nel 1974 è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia, ha settantasette anni, non è il suo lavoro migliore. Ma suggerisce, in un’epoca di alta inflazione, l’idea sovversiva che sarebbe possibile separare Stato e moneta. Quarant’anni prima, alla London School of Economics, Hayek era stato il relatore della tesi dottorale di Vera Smith (più nota col cognome da sposata, Vera Lutz), su The Rationale of Central Banking and the Free Banking Alternative. Si tratta, tutt’oggi, di uno dei libri migliori disponibili sul free banking.
La denazionalizzazione della moneta indusse alcuni (all’epoca) giovani economisti a riscoprire una tradizione e una storia della quale, a dispetto della tesi, poi diventata libro, della Lutz, si era praticamente persa traccia. Nonostante le banche centrali, per come le conosciamo, siano istituzioni relativamente recenti (la Federal Reserve nasce nel 1913, ma anche la Banca d’Italia ottiene ufficialmente il monopolio d’emissione solo nei primi anni del fascismo), tendiamo a presumere che battere moneta sia una prerogativa del potere politico. Non è sempre stato così e quei giovani economisti cominciarono per l’appunto a studiare gli episodi storici di free banking, di separazione fra moneta e politica. E’ raro che gli studi abbiano conseguenze, nel mondo dei fatti, chiaramente riconducibili a esse. Anche in questo, quel libretto di Hayek fu singolarmente fortunato. In qualche modo l’idea di “denazionalizzare la moneta” ha avuto applicazioni pure assai diverse da quelle che aveva in mente: che cos’è l’euro se non una moneta denazionalizzata, la valuta di venti Paesi e dunque di nessuno di essi? Forse, ancora più importante, quelle pagine divennero un’ossessione per alcuni personaggi stravaganti, diversi dei quali tentarono di far nascere delle valute “private”. La più rilevante è il Bitcoin inventato da Satoshi Nakamoto.
Questo libro di Larry White, uno di quegli economisti che Hayek indusse a studiare l’ “altra” storia dell’emissione di moneta, tira un po’ le fila di quanto è avvenuto in questi anni, sia nel mondo degli studi che in quello delle criptovalute. Il punto di partenza di White è l’idea che la moneta sia una istituzione spontanea, esito dell’azione umana ma non dell’umano progettare. Fu il padre della scuola austriaca dell’economia, Carl Menger, a sostenere che il denaro, in origine, è un’istituzione sociale e non statale. La sanzione da parte dell’autorità è successiva. Il baratto, spiegava Menger, necessita di una «doppia coincidenza dei desideri» di coloro che vanno al mercato: chi produce telescopi e desidera un violino dovrebbe avere la fortuna di incontrare un liutaio alla ricerca di un telescopio, per poter ottenere il bene che desidera. Per questo a un certo punto si affermano come mezzi di scambio dei beni ad alta commerciabilità.
Già Adam Smith aveva fatto osservazioni simili:
Il macellaio ha in negozio più carne di quanto egli stesso consumi, e il birraio e il panettiere sarebbero entrambi disposti ad acquistarne una parte. Ma essi non hanno nulla da offrire in cambio, eccetto i differenti prodotti dei loro rispettivi mestiere e il macellaio è già provvisto del pane e della birra di cui ha immediato bisogno. In questo caso, tra loro non può avvenire nessuno scambio. Egli non può essere il loro fornitore, né essi i suoi clienti; ed essi tutti non possono trarre alcuna utilità l’uno dall’altro. Per evitare gli inconvenienti di siffatte situazioni, in tutti i periodi della società ogni uomo prudente dacché la divisione del lavoro ha incominciato ad affermarsi deve naturalmente aver cercato di amministrare i suoi interessi in modo da avere sempre presso di sé, oltre al prodotto particolare della sua industria, una certa quantità di qualche merce o di quant’altro egli ritenesse che poche persone potessero rifiutare in cambio del prodotto della loro industria.
White rigetta quindi la teoria cartalista (punto di riferimento della modern monetary theory), per cui gli scambi sarebbero stati possibili soltanto dopo che si era già affermata una moneta battuta dai sovrani. La risposta di White ai cartalisti si fonda in parte su esercizi di logica, in parte su elementi empirici, emersi nei lavori di storici della moneta ma soprattutto di numismatici (facendo un piccolo lavoro, qualche anno fa, sulle banche di emissione nell’Italia postunitaria mi accorsi presto che i numismatici sono un pozzo d’informazioni, stupidamente ignorate).
I cartalisti fanno fatica a spiegare perché la moneta nasca, ovunque, come moneta d’oro e d’argento. Se è il sovrano della moneta, perché dovrebbe scegliere di farla in metallo prezioso? Per Smith, i metalli preziosi si impongono “in modo irresistibile” perché sono resistenti, possono venire fusi e venire porzionati con relativa facilità. Menger aggiunge che sono desiderati: l’oro diventa moneta perché luccica, è il fatto che le persone li desiderino di per sé a consentire che essi possano diventare un mezzo di scambio accettato ad ampio raggio.
White aggiunge che è probabile (non c’è un accordo unanime) che la prima moneta coniata, in Lidia, fosse emessa da zecche private. E ricorda come zecche private fossero presenti e attive (per esempio, negli Usa) fino alla seconda dell’Ottocento, anche quando scienziati sociali ed economisti erano concordi che l’unico attore sociale in grado di battere moneta con successo fosse lo Stato. E’ un po’ come il faro, considerato dagli economisti l’esempio ante litteram di risposta pubblica ai fallimenti del mercato (la luce che emana non può avvantaggiare solo le navi delle compagnie che pagano un ipotetico abbonamento) fino a quando Ronald Coase, in un saggio celeberrimo, andò a studiare la storia dei fari inglesi e scoprì che da John Stuart Mill in poi gli economisti avevano preso un bell’abbaglio.
La strada dalla moneta coniata al Bitcoin passa per il biglietto di banca che è un’altra invenzione del settore privato. Esso viene però monopolizzato dagli attori pubblici e, un po’ perché la “statalizzazione” della moneta risponde indubbiamente a dei problemi, un po’ per pigrizia intellettuale, un po’ per complicità (gli economisti migliori per chi vogliono lavorare, se non per le banche centrali?), abbiamo cominciato a considerare la valuta “pubblica” l’unica possibile.
White spiega bene come funzionava il gold standard e poi riflette su un ipotetico Bitcoin standard. La nascita delle criptovalute è un esito del programma di ricerca in cui lui stesso è stato impegnato per anni ma ciò non lo rende un sostenitore acritico di Bitcoin. “Mentre l’ascesa di Bitcoin a una valutazione di mercato di centinaia di milioni di dollari è senz’altro un successo straordinario, il fondatore aveva alti obiettivi”. Satoshi Nakamoto (lo pseudonimo col quale è noto, appunto, l’inventore di Bitcoin) voleva risolvere tre problemi: la tendenza a inflazionare la moneta da parte degli istituti di emissione, la mancanza di privacy e sicurezza delle banche commerciali, l’alto costo del sistema dei pagamenti intermediato dalle banche che rendeva i micropagamenti on-line troppo onerosi.
Se la storia del denaro è una storia di conseguenze inintenzionali, questo vale pure per Bitcoin:
Il ruolo di nicchia del Bitcoin come mezzo di scambio è assai modesto rispetto alla sua popolarità come investimento speculativo e alla conseguente volatilità del suo potere d'acquisto. Le parti impegnate nelle transazioni preferiscono un mezzo di scambio dal valore più stabile e gli investitori in Bitcoin non vogliono perdere un potenziale rialzo del prezzo spendendo i loro token.
Se qualcosa non è ampiamente desiderato e dunque scambiato, non può essere denaro. White ritiene che “non c’è ragione di pensare che la volatilità [di Bitcoin] declinerà semplicemente in funzione della sua capitalizzazione di mercato” mentre ritiene potrebbe diminuire se “cresce la domanda di detenere Bitcoin come strumento di pagamento anziché come investimento”.
Non lo possiamo dire, almeno oggi. Bitcoin però ha meriti che andrebbero riconosciuti già oggi, indipendentemente da quello che sarà il suo futuro. E’ la prima “cosa” (fra virgolette) che sia assieme digitale e scarsa. E’ stato utile per persone che vivono in situazioni complicate, come i venezuelani in fuga dal regime di Maduro che anziché cucirsi il denaro nei vestiti hanno potuto salvare un po’ dei loro risparmi e portarseli appresso, quali Bitcoin. Oggi è uno dei pochi strumenti con cui i privati cittadini che si trovano in mezzo alle “guerre finanziarie” scatenate dagli Stati (pensiamo a quanto è avvenuto con il conflitto in Ucraina) possono provare a tutelarsi e a proteggere i propri risparmi.
In più, Bitcoin ha costretto anche chi mai ci aveva pensato a riflettere sulla possibilità di una valuta non statale. La “moneta migliore”, però, il Better Money può emergere solo attraverso nuovi esperimenti, che hanno bisogno di un contesto competitivo. Questo il messaggio del libro di White. Difficile però che monopolisti tanto inefficienti quanto arroganti come le banche centrali non provino a strangolare nella culla qualsiasi forma di concorrenza.
Lawrence H. White, Better Money: Gold, Fiat, or Bitcoin?, Cambridge, Cambridge University Press, 2023, pp. 250.