Una scuola di Praga, all’inizio degli anni Cinquanta. Un uomo con una gamba sola attende pazientemente che termini una lezione. Deve salutare un amico, l’insegnante. Andrà a vivere nel nord della Boemia, a casa della sorella. Ha un permesso speciale. Rientrato in classe, il maestro spiega agli alunni che il suo amico era un reduce. “Vedete come il comunismo tratta bene i suoi eroi?”
Un bambino alza la mano. E’ ebreo, con la sua famiglia era fuggito in Inghilterra all’inizio della guerra, è rientrato nel ’49.
Pensavo davvero che l’avrebbero trovato interessante, così dissi che in Inghilterra chiunque poteva vivere ovunque volesse, anche se aveva due gambe. Interrogarono mia madre. Perse il lavoro alla fabbrica di scarpe, ma quel che più conta è come reagirono gli altri ragazzini della mia classe. Pensavano che mi stessi inventando delle storie, come certi racconti di viaggi in terre lontane. Non riuscivano ad afferrare l’idea che esistesse un paese dove qualcuno, chiunque, potesse decidere di vivere in un’altra città e semplicemente andarci. E se tutti volessero vivere in Boemia, mentre il loro lavoro è in Moravia! Come funzionerebbe una società fatta così…
Jan, il protagoniste di Rock ’n’ Roll, lo racconta a Max, il suo mentore: professore di Cambridge, marxista e iscritto al partito tutta la vita, nonostante l’Ungheria, la primavera di Praga, la Rivoluzione culturale, il genocidio cambogiano, eccetera. Un Eric Hobsbawm, che dichiara che milioni di morti sono un prezzo accettabile, se è quello del biglietto per una società giusta. Max è andato a Praga. Jan, che studiava con lui per un dottorato, è tornato a casa nel 1968, appreso dell’arrivo dei carri armati. Max non sa che, per spiarlo, Jan recitava la parte del marxista ortodosso e che in realtà in Inghilterra come in patria la sua passione per il socialismo è tiepida. Ciò che davvero gli piace è il rock ’n’ roll. Occasionali menzogne a parte, fra i due c’è un affetto vero. Le loro visioni del mondo sono totalmente diverse. Per Max, i “rapporti sociali sono rapporti economici” e tutto quel che ne segue. Per Jan, la libertà significa “lasciatemi in pace”.
Questo play di Tom Stoppard richiama il dibattito che separò Milan Kundera e Vaclav Havel. Quando nel 1972 quest’ultimo fece circolare una petizione, rivolta al segretario del partito Gustáv Husák, per la liberazione di tutti i prigionieri politici, trovò trentacinque firmatari ma fra questi non c’era Kundera. Ne L’insostenibile leggerezza dell’essere, al protagonista, Tomas, viene chiesto di sottoscrivere un documento simile, per giunta dal figlio biologico con cui dopotutto gli piacerebbe instaurare un legame, ma lui si ritrae. Sa che non servirebbe a nulla, che al massimo farebbe arrabbiare qualcuno e che le visite della polizia segreta inquieterebbero ancor di più Teresa, sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Tomas non può far nulla per salvare i prigionieri politici, ma pensa di poter fare qualcosa per far star meglio la donna a cui nonostante tutto vuol bene.
In Rock ’n’ roll, Jan risponde più o meno allo stesso modo, senza Terese di mezzo, al suo amico Ferdinand, specialista in appelli. E’ “esibizionismo morale”, la medesima formula usata da Kundera. Serve a mettersi in pace la coscienza, quando altro non si può fare. Ma poi è lui a sottoporre a Ferdinand un testo che questi non firma e si rifiuta di sottoporre a “uomini seri”: una petizione con il giro di vite sui concerti underground. Non sarebbe anche questo, “esibizionismo morale”?, lo punzecchia Ferdinand.
Sarebbe, replica Jan, un “gesto autenticamente morale” perché
a voi non importa di questi ragazzini e a loro non importa di voi”. Non si tratta di aspiranti rivoluzionari di un colore che vogliono succedere a quelli di un altro colore, ma di ragazzini “che vanno ancora a scuola, verranno espulsi, e finiranno per fare il lavoro più umile che offra il paradiso della piena occupazione, e quel che sto dicendo è che loro non hanno cercato lo scontro. Non hanno chiesto niente, soltanto di essere lasciati un po’ in pace. Non si tratta semplicemente di musica ma di ossigeno.
Questi ragazzi indifferenti nei confronti del partito vogliono solo fare la loro vita, non un’altra rivoluzione. Non meritano di poter ascoltare la musica che desiderano?
Poi la polizia irromperà a casa di Jan mettendola a soqquadro e distruggendo i suoi dischi, gli stessi che aveva portato a casa dall’Inghilterra. Lui firmerà Charta 77, andrà in galera, una volta uscito lavorerà in una panetteria. A insegnare in Università torna solo dopo l’89.
Nato a Zlin, in Boemia, Tom Stoppard all’anagrafe era Tomáš Straussler, nome che perse dopo che la sua famiglia fuggì dalla guerra e dal nazismo in Oriente, suo padre morì a Singapore e sua mamma divenne la moglie del maggiore Stoppard, di stanza in India. Incontra Havel per la prima volta in occasione di un viaggio a Praga. Aveva già fatto quanto poteva per difenderlo dopo l’arresto nel ’77. “Havel gli appariva una sorta di alter ego, la persona che avrebbe voluto essere se non avesse avuto la fortuna di essere inglese”, scrive la sua biografa Hermione Lee. E’ solo alla morte della madre, nel 1996, che Stoppard comincia a indagare la storia della sua famiglia.
Rock ’n’ roll (che per alcuni giorni è ancora in scena a Londra, all’Hampstead Theatre) è in parte l’esito di queste indagini, la vita che immagina avrebbe potuto avere, se la sua famiglia fosse tornata nella Cecoslovacchia comunista. Se non fosse vissuto nell’Inghilterra del rock, appunto. E’ anche una splendida meditazione sulla libertà, dove si trova e come si fa a ottenerla. Serve impegnarsi politicamente per conquistarla? O al contrario è proprio nell’indifferenza al potere che essa risiede, è quando e dove possiamo essere indifferenti alla politica che siamo davvero liberi?
“Dobbiamo ricominciare partendo dal significato ordinario delle parole. E’ dando nuovi significati alle parole che i sistemi mentono a se stessi, a cominciare dalle parole che usano per nominarsi”. C’è un po’ di Orwell in Stoppard e anche un po’ del Kundera sospettoso del potere delle metafore. La musica, suggerisce, è più libera, è più onesta. Ha il difetto, agli occhi degli aspiranti profeti come Max, di piacere alle persone.
Tom Stoppard, Rock ’n’ roll (2006), Torino, Einaudi, 2011, pp. 110.