Mario Vargas Llosa è stato recentemente nominato fra gli “immortali” di Francia, il primo a non aver scritto in francese. Immortali erano già i suoi romanzi. Questo, il sesto da lui pubblicato, di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla pubblicazione, è particolarmente importante.
Vargas Llosa racconta, sulla scorta di Euclides da Cunha, la “guerra di Canudos”, le quattro spedizioni punitive dell’esercito brasiliano contro gli insorti dell’insediamento di Canudos, nello Stato di Bahia. Costoro rifiutavano l’autorità della neonata Repubblica Brasiliana in ragione della predicazione di una sorta di profeta, Antônio Conselheiro. Da Cunha, nel suo lavoro, si avvalse «di tutte le teorie sociologiche imperanti nell’Europa del suo tempo». Ma l’impasto di miseria e fede dei rivoltosi di Canudos non si poteva spiegare importando gli schemi concettuali europei. L’unico a vederci chiaro è forse il barone di Canabrava, una sorta di principe di Salina che rappresenta il mondo di ieri e proprio per questo riconosce lo smarrimento di chi, all’altro estremo della scala sociale, esattamente come lui non ha più posto nel mondo di oggi. I ribelli coltivano infatti la nostalgia del vecchio Impero, la cui immagine, sfocata come sono tutte le cose alla periferia del mondo, diventa un articolo di fede.
La guerra della fine del mondo è un romanzo chiave per comprendere il populismo latinoamericano. Nei ribelli che seguono Conselheiro, Vargas Llosa ritrova un istinto ancestrale. Esiste uno “spirito tribale” che sopravvive in qualsiasi società umana, eredità dei millenni che abbiamo attraversato vivendo in piccoli gruppi. Ogni tanto si traveste da speranza rivoluzionaria, come quelle di Galileo Gall, che insegue la speranza della rivoluzione nella comunità di rivoltosi di Canudos, dei quali non sa e non capisce nulla, ma che immagina come i protagonisti della sua utopia. Uno dei grandi romanzi di sempre, da leggere per comprendere le nostre illusioni.
Mario Vargas Llosa, La guerra della fine del mondo (1981), Einaudi, Torino 1993, pp. 616
PS: Buon anno.