E’ davvero una Controstoria dell’Italia questo libro di Giampiero Mughini? I dieci capitoli (uno travestito da “Conclusione”) ripercorrono il periodo che va “dalla morte di Mussolini all’era Berlusconi”. Ed effettivamente se immaginiamo quale possa essere il punto di vista prevalente fra coloro che associano istintivamente questo due nomi, che intravedono una continuità fra l’uno e l’altro, e si tratta della maggioranza schiacciante degli italiani che leggono, quella di Mughini è una storia contro. Contro cioè alcuni luoghi comuni di cui tendono a pascersi gli animali da libreria. Ne cito solo due: l’idea, che i ventenni degli anni sessanta bevvero “a grandi sorsate”, che “a guerra conclusa e a liberazione avvenuta si fosse manifestata in Italia una cultura radicalmente nuova, animata da uomini che avevano poco se non niente a che vedere con la storia culturale del ventennio” e quella che la cosiddetta Prima Repubblica fosse un’associazione a delinquere di tipo diverso da qualsiasi altra classe dirigente o politica, da sgominarsi pertanto nelle aule di tribunale come è stato.
Da questo punto di vista, lo spirito del libro sta tutto nel capitolo conclusivo, scritto a metà gennaio 2024 quando “s’è fatta rumorosissima l’eco polemica di un rituale caro alla gente della destra italiana e che ogni anno si ripete allo stesso modo e alla stessa data del 7 gennaio”. Ovvero l' “adunata” in cui alcune centinaia di persone
si radunano compatte al modo di una formazione militare innanzi all’ex sezione del MSI di via Acca Larentia a Roma, pronunciano uno dopo l’altro i nomi di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, e ciascuno di quei nomi lo accompagnano col grido “Presente!” e con lo scattare all’unisono del loro braccio verso l’alto, quello che era il saluto per eccellenza dei fascisti mussoliniani.
Se ad “alcuni dei proprietari di quelle braccia” la manifestazione è valsa l’accusa di apologia del regime fascista, nell’opinione pubblica (complice il fatto che il premier è oggi Giorgia Meloni) si è innescata la gara a chi la spara più grossa. Cercando on line qualche resoconto trovo titoli tipo: “Acca Larentia: è il 2024 ma a Roma sembra il 1924”. La foga dei commentatori rafforza una delle convinzioni che stanno dietro questo libro di Mughini: nell’epoca in cui non c’è informazione che non sia a portata di clic, la memoria si è fatta ancora più impalpabile.
Il 7 gennaio del 1978, [Franco] Bigonzetti aveva vent’anni ed era iscritto al primo anno di Medicina, [Francesco] Ciavatta di anni ne aveva diciotto, Recchioni aveva anche lui vent’anni (…) Erano appena usciti dall’allora sezione del MSI di via Acca Larentia e si accingevano a distribuire un volantino che promuoveva il concerto di un gruppo musicale di destra, quando arrivò loro addosso un commando di quattro o cinque terroristi di sinistra che cominciò a sparare e di cui nessuno dei quali è stato mai identificato. Bigonzetti cadde per primo. Dapprima soltanto ferito, Ciavatta tentò di fuggire lungo la scalinata attigua alla porta d’ingresso della sezione del MSI. Solo che i terroristi riuscirono a colpirlo alla schiena e lui morì poco dopo in ambulanza durante il tragitto verso l’ospedale. Nei successivi scontri con la polizia cadde colpito da una pallottola in fronte Recchioni, senza che si sia mai saputo esattamente chi gli avesse sparato e perché (…) Pochi mesi dopo quel 7 gennaio 1978, il padre di Ciavatta, che di mestiere faceva il portiere di uno stabile, si uccise bevendo una bottiglia di acido muriatico.
Nel loro linguaggio che dire barbarico è dire niente, quegli stramaledetti assassini del 7 gennaio rivendicarono pochi giorni dopo l’agguato ai “topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadrista”.
Per Mughini, “le braccia levate nel saluto fascista sono un lieve sintomo rispetto all’enormità di quella tragedia, a un Ciavatta braccato prima di essere assassinato, al fatto che quei purulenti assassini non sono mai stati individuati, e non è che fossero assassini da poco. Una delle armi usate nell’occasione, una mitraglietta Skorpion, ha un suo sontuoso curriculum criminale. E’ stata usata nell’omicidio dell’economista Ezio Tarantelli (1985), dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti (1986), del senatore democristiano Roberto Ruffilli (1988)”.
La storia contro di Mughini ha nel mirino quella condizione di compiaciuta superficialità per cui “è il 2024 e sembra il 1924” e per cui in ultima analisi le vicende umane sono ombre cinesi proiettate tutte sullo stesso sfondo. Un fondale diviso in due, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, e tanto più non c’è da sapere. Così, le braccia tese del 2024 appartengono a eversori e non a quel che resta di una comunità cementata, nel bene e nel male, da episodi come quello del ‘78 e da tutto un clima nel quale “uccidere un fascista non è reato” era una frase pronunciata con l’entusiasmo con cui di solito si fanno le dichiarazioni d’amore. Così, la prima repubblica altro non era che un “mondo di ladri” che a un certo punto finiscono dietro le sbarre, e Bettino Craxi il peggiore di tutti, tant’è che ha tagliato la corda. Così, nel fascismo c’è la “biografia della nazione”, nel senso del popolo bue che poi voterà Dc, Craxi, Berlusconi e Meloni, ma esso è anche del tutto estraneo a quanti sono noti, almeno a se stessi, per il leggere, lo scrivere e il pensare.
Queste semplificazioni farebbero ridere, se in Italia non fossero i pilastri della cultura condivisa, prima ancora che da una parte politica, da un piccolo ma coeso gruppo sociale. Quello che è sempre stato convinto di essere chiamato a “fare gli italiani”, nel senso di raddrizzarne il legno storto con tutte le armi a disposizione, e che non riuscendoci ha spiegato al mondo che quel legno è proprio marcio e con tutta la buona volontà non se ne può cavar nulla. Questa cultura unisce davvero la maggioranza di coloro che nel nostro Paese trafficano con le parole, per quanto per molti di essi non sia che un Galateo, delle regole che governano le conversazioni di buona creanza. Questo non lo si deve leggere, questo non lo si deve dire, quest’altro non lo si deve nemmeno immaginare. Non è, beninteso, un fenomeno solo italiano: pensate alla gioia che ha suscitato in tanti militanti ma soprattutto in tanti giornalisti Tim Walz, candidato Vice Presidente di Kamala Harris, liquidando come “weird”, strani, Donald Trump e J.D. Vance. Chi parla come ci è stato insegnato è “normale”, gli altri no.
Mughini viene dallo stesso mondo ed è serenamente figlio del Novecento, e come tutti i figli del Novecento lamenta che “nei miei vent’anni era sui giornali che io cercavo disperatamente di trovare le verità di che capire il mondo in cui avevo preso a vivere”, altro che social e influencer. Oppure che “non ci sono più i partiti intesi quali organismi inseriti nell’Italia reale e che ne specchiano i tratti, non c’è più una classe politica scaturita dal meglio dell’avvicendarsi delle generazioni, non ci sono i giornali di partito né c’è qualcuno che li rimpianga minimamente”. Eppure, verrebbe da dire, quell’Italia, l’Italia della mazzetta dei giornali sotto braccio, ha prodotto da una parte e dall’altra la barbarie di cui Acca Larentia non è stata che un episodio, e neppure il più eclatante. La politica, quella di cui piangiamo la fine del primato, è stata la scusa più raffinata per continuare a fare qualcosa che agli esseri umani piace dall’alba dei tempi: macellarsi a vicenda. Mughini, in questo libro come probabilmente in tutti i suoi libri da Compagni, addio (1987), cerca di raccontare, a beneficio di chi c’era e ancor di più di chi non può averne memoria, quale fosse il profumo degli anni della contestazione e poi del terrorismo, senza risparmiarci nessuna delle loro meschinità. Lo fa in modo particolarmente efficace raccontando tante amicizie finite (a cominciare da sodali un tempo carissimi, come Nanni Moretti e Paolo Flores d’Arcais), tutte spezzatasi non nello scontro a viso aperto di un’assemblea. E ci mancherebbe, che nel gioco della politica in senso stretto non nascano odi profondi come un tempo profonda era l’affinità intellettuale. Peggio. Le amicizie di Mughini sono state triturate dal suo allontanarsi, non umanamente ma ideologicamente, da una chiesa che non ammetteva eresia. “Oltre la sinistra c’è la destra”, disse una volta Massimo D’Alema alla presentazione di un libro di Ferdinando Adornato che appunto Oltre la sinistra s’intitolava. Per due generazioni cresciute a pane e politica il solo sospetto che un amico si stesse avvicinando a quella soglia proibita bastava per levargli il saluto.
Chiunque traffichi con le parole, anche senza farlo bene come Giampiero Mughini, non può che essere intristito dall’irrilevanza delle parole in questo primo scorcio di terzo millennio. Se esse esercitano ancora un’influenza nella vita delle persone, ciò avviene dopo la percolazione attraverso media e linguaggi d’altro tipo. Il libro diventa importante perché ne viene tratta una fiction, lo storico è autorevole nella misura in cui i suoi podcast trovano follower. Un saggio scritto benissimo come Controstoria dell’Italia può vendere quanto la monografia più rabberciata: lo determinano fattori del tutto indipendenti dal suo valore. Una bella scazzottata televisiva, per esempio.
A incamminarsi sui sentieri del rimpianto, viene da chiedersi se il panorama sia mai stato tanto diverso. I rotocalchi degli anni Settanta, a dirla tutta, non erano le riviste fiorentine d’inizio secolo. E quanto diciamo di Internet e dei social lo dicevamo un tempo della televisione commerciale, che giustamente Mughini celebra. “E’ un bene o un male che tu ogni giorno possa far ondeggiare il tuo telecomando tra la Rai, Mediaset, La7, Canale Nove e ne sto dimenticando? Ovviamente penso che sia un bene”.
Quello di Mughini non è un esercizio di nostalgia e neppure il suo libro si limita al resoconto delle follie politiche che hanno attraversato l’Italia, dagli squadristi ai terroristi. Per un terzo è invece dedicato allo sport, al design, alla fotografia. A un’Italia diversa, cioè, da quella politica e che a torto si considererebbe minore. Non ho dubbi che Mughini non consideri Bruno Munari o Enzo Mari o Carlo Mollino o Ferdinando Scianna in nulla meno “importanti” dei personaggi politici che, in altri capitoli, racconta. La storia di Mughini, in questo senso, è dunque contro il “tutto è politica”, o peggio ancora l’idea che tutto ciò che merita d’essere raccontato sta all’interno delle vicende dei potenti, per quanto insaporite con qualche dettaglio inedito. Anzi è profondamente convinto che poche cose svelino il genio degli uomini più che gli oggetti che realizzano, e non solo quando sono il frutto dei loro colpi di scalpello ma anche quando escono da una macchina, prodotti in serie per l’elevazione estetica di milioni di persone.
Questa allora più che una Controstoria dell’Italia è una Storia dell’Italia in penombra. Nel duplice senso che è una storia di quell’Italia spesso tenuta lontana dai riflettori, perlomeno per quanto possano riuscirci gli storici di professione. E che è una storia in chiaroscuro, nella quale le vicende politiche risultano inscindibili dalla trama dei rapporti personali e nella quale l’autore sa che neppure i suoi eroi sono senza macchia. Che poi, se la storia fosse maestra di qualcosa che ci riguarda, proprio questo dovrebbe insegnarci.
Giampiero Mughini, Controstoria dell'Italia. Dalla morte di Mussolini all’era di Berlusconi, Milano, Bompiani, 2024, pp. 256.
No no, non è la " Storia dell’Italia in penombra", è semplicemente il bilancio che noi tutti boomer che abbiamo (ancora per quanto?) il ben dell'intelletto, facciamo dei 70 anni più straordinari della storia del mondo che sembra stiano per finire: benessere economico inimmaginabile, se pensiamo alla miseria dei fifties nei quali siamo nati, col cesso fuori casa e senza riscaldamento e le macerie dei bombardamenti ancora da spazzare; libertà economica e nei costumi (summer of love), progresso tecnico-scientifico e sociale, pace (magari sotto lo scudo nucleare, ma pace)...nessuno ha avuto mai più di noi boomer.
Alcuni di noi e fra noi sono stati degli assassini, vero, perché pensavano che il 25/4/45 aveva lasciato troppi conti ancora da regolare, altri ancora perché tentavano di rifare il 28/10/22. Non pochi, ma nemmeno in massa, una minoranza rumorosa, ma né più rumorosa né più pericolosa dei bolscevichi o delle guardie rosse o delle camice nere. 50% criminali e 50% pagliacci ridicoli e fuori dal tempo. Ma...godiamoci Mughini, fin che dura...e fin che duriamo noi boomer.