Sostenere che “il privato è politico”, scrive Fernando Savater, è una “sciocchezza”. Pochi libri sono più privati e insieme (ma non “di conseguenze”) politici di questo Carne gobernada: dal dolore per la morte della moglie Sara (“Pelo Cohete”, capelli a razzo), alla passione per la poliamorosa “K”, allo straniamento per un episodio di legionellosi, Savater parla di sé senza sforzarsi troppo di selezionare, censurare, edulcorare i dettagli della sua vita recente. Continua a seguire un modello letterario perfezionato negli anni.
La relativa novità di questo saggio, più che la parte privata, è quella politica. Savater arriva a chiamare “mi amigo” Santi Abascal, il leader di Vox, che sia noi che i suoi lettori spagnoli siamo semmai abituati a considerare amico di Giorgia Meloni. Pur continuando a ritenere la socialdemocrazia il migliore dei compromessi possibili fra libertà ed eguaglianza, dice a chiare lettere che i modelli sociali fondati (in qualche misura) sulla libertà mantengono le loro promesse mentre quelli fondati (in qualche misura) sull’eguaglianza no. Racconta di aver votato e fatto votare per Isabel Diaz Ayuso, la carismatica presidente della regione autonoma di Madrid tanto odiata dalla sinistra spagnola. Spiega le ragioni del suo distacco dal Pais, la “Repubblica” iberica.
Savater è diventato “di destra”? Lui direbbe di no. La distanza fra lui e il resto della sinistra spagnola si misura sulla questione del separatismo (che Savater ha conosciuto nella sua variante violenta, nei Paesi baschi). Carne gobernada aiuta a comprendere le divisioni della Spagna di oggi, che non solo esaltano le tensioni fra destra e sinistra ma attraversano l’una e l’altra. La transizione dal franchismo alla democrazia è passata per un compromesso costituzionale che è difficile non giudicare di un qualche successo. Ma a essere sotto attacco oggi è proprio la Costituzione: da destra, lo fa Abascal, che vorrebbe rivedere il sistema delle autonomie. Da sinistra quanti non perdonano alla Costituzione di essere l’esito di una negoziazione, e non di una guerra civile, che ha coinvolto anche i vecchi franchisti. Savater minimizza l’impatto dell’attacco da destra, focalizzandosi, da uomo di sinistra, sul “dirottamento” della sua parte politica da parte di Pedro Sanchez: politico abilissimo e, dunque, di straordinario cinismo.
L’avversione di Savater per il patto fra Sanchez e i secessionisti non si fonda tanto sulla difesa dell’unità nazionale nei termini di un nazionalismo ideologico quanto su una istintiva avversione a ogni tentativo di “parcellizzare” la società aperta, frammentandola in gruppi contrapposti. Savater reagisce alle rivendicazioni territoriali esattamente allo stesso modo in cui si rifiuta di scomporre il Paese in un mosaico di minoranze, caratterizzate dall’appartenenza e dall’identità sessuale. La sua è una postura individualista: uno vale solo uno, nel senso che non vale il gruppo nel quale viene incasellato. Si tratta di un approccio discutibile nel merito (se l’identità catalana o basca sono posticce, non lo è anche quella spagnola? Per combattere i micro-nazionalisti, non si finisce per abbracciare un nazionalismo macro?) ma diverso da quello prevalente fra i difensori degli Stati nazionali “così come sono” in Spagna come altrove.
Le pagine più interessanti di questo volume sono forse quelle dedicate al rapporto col Pais, il quotidiano più “internazionale” di Spagna. Savater ci ha collaborato per più di quarant’anni e, come molti, associa a quel foglio la transizione, la democrazia dell’alternanza, l’aprirsi e modernizzarsi della società spagnola. Egli riconduce il suo distacco a un cambiamento d’identità del giornale, che da sempre è collocato a sinistra ma per il quale il significato di questa parola è mutato col passare degli anni. In particolar modo, a essere cambiata è la relazione fra sinistra e censura: il fatto, cioè, che la limitazione del diritto d’opinione oggi non sia più un problema contro il quale protestare, bensì una necessaria profilassi contro idee sgradite e impresentabili. Il racconto, divertito, di articoli e lettere pubblicati per smentire i sempre meno gestibili contributi savateriani suggerisce una crescente insofferenza per qualsiasi eterodossia. Le “camere dell’eco” non esistono solo nel mondo digitale.
Carne gobernada è il libro di commiato di un autore amatissimo dal pubblico iberico e non solo, e proprio questa sua natura giustifica l’insistenza su dettagli privati dei quali il lettore potrebbe benissimo fare a meno. Ma Savater esibisce, non senza autoironia, la propria intimità anche per farsi beffe di una cultura vieppiù “eterofoba” e puritana, a dispetto di un anticonformismo ormai manieristico. Inoltre, ogni volta che si vuol fare di questo privato una bussola per gli affari pubblici, Savater mostra un conservatorismo fondamentalmente basato sul buon senso, sul gusto di una società nella quale si discute e si dibatte, sull’insofferenza per qualsiasi forma di polizia linguistico-ideologica. In Maestro, il film di Bradley Cooper su Leonard Bernstein, l’unica cosa rilevante, in perfetta coerenza col discorso contemporaneo, è l’ambiguità sessuale del grande compositore e direttore d’orchestra. In due ore di film, lo spettatore non comprende nulla delle preferenze e delle attitudini musicali di Bernstein, non incrocia nessun indizio della sua grandezza, non intuisce neppure le ragioni che ne fecero un personaggio amato da un pubblico ben più vasto di quello della musica colta. Però a chi guardi il film risulta chiarissimo che a Bernstein piacevano sia la ragazze che i ragazzi, e a dire il vero soprattutto i ragazzi. A Savater piacciono le ragazze, lo racconta senza sensi di colpa, ma nel libro la distinzione del racconto del personale e i giudizi pubblici non potrebbe essere più netta. L’uomo non è ciò che mangia, né ciò che beve (Savater, whisky), né chi scopa. Amen.
Fernando Savater, Carne Gobernada: De política, amor y deseo, Madrid, Ariel, 2024, pp. 176,