La poesia, va da sé, non è buona e non è “grande” in ragione di un suo ipotetico “messaggio”, men che meno delle opinioni politiche dell’autore. La grande conquista della modernità (perlomeno prima del wokism oggi imperante) è che abbiamo potuto ascoltare Wagner senza curarci del suo socialismo intriso di nazionalismo e leggere Neruda o Pound senza abboccare agli stessi ami ideologici che fregarono loro due. L’orientamento ideologico contribuisce però a che si presti attenzione a certi aspetti della vita, i quali possono entrare o meno nel cono d’attenzione di un poeta, di un musicista, di uno scrittore.
Robert Frost è un poeta particolare, anzitutto per le cose delle quali scrive. Sarà perché nella vita aveva fatto molti mestieri, sarà per l’amore della vita di campagna, ma Frost racconta il lavoro, la fatica, la soddisfazione di fare le cose assieme. E’ un poeta per la nostra “epoca post-magica, post-bardica, post-aristocratica e compiutamente borghese”, come ha scritto Deirdre N. McCloskey.
In molti ricordano che egli recitò una poesia (curiosamente, non quella che aveva scritto per l’occasione) durante la cerimonia di inaugurazione della Presidenza di John F. Kennedy. Di Kennedy aveva apprezzato i Profiles in Courage e gli aveva anzitempo vaticinato l’arrivo alla Casa Bianca. Qualche anno prima, però, era stato un oppositore del New Deal rooseveltiano. In qualche sua poesia si intravede una difesa dell’individualismo, inteso non troppo diversamente da come l’intendeva il grande Henry David Thoreau. In altre si trova un certo timore nei confronti di un razionalismo totalizzante, che inevitabilmente finisce a ridurre la nostra capacità di leggere l’esperienza umana. Non a caso Peter Stanlis, importante studioso di Burke, fu amico di Frost e ne scrisse.
Consideriamo, ad esempio, la conclusione di Unharvested:
May something go always unharvested!
May much stay out of our stated plan,
Apples or something forgotten and left,
So smelling their sweetness would be no theft.
Che qualcosa resti fuori dai nostri piani, lasciamo un po’ di spazio alla sorpresa, all’inaspettato. Sempre a proposito di raccolti, After Apple-Picking ci porta con efficacia straordinaria a riflettere sull’ossessione del lavoro ben fatto:
For I have had too much
Of apple-picking: I am overtired
Of the great harvest I myself desired.
There were ten thousand thousand fruit to touch,
Cherish in hand, lift down, and not let fall.
For all
That struck the earth,
No matter if not bruised or spiked with stubble,
Went surely to the cider-apple heap
As of no worth.
One can see what will trouble
This sleep of mine, whatever sleep it is.
Pare che To a Thinker fosse stata scritta pensando a Franklin Delano Roosevelt:
Just now you’re off democracy
(With a polite regret to be)
And leaning on dictatorship;
But if you will accept the tip,
In less than no time, tongue and pen,
You’ll be a democrat again.
A reasoner and good as such,
Don’t let it bother you too much
If it makes you look helpless, please,
And a temptation to the tease.
Suppose you’ve no direction in you,
I don’t see but you must continue
To use the gift you do possess,
And sway with reason more or less.
I own I never really warmed
To the reformer or reformed.
And yet conversion has its place
Not halfway down the scale of grace.
So if you find you must repent
From side to side in argument,
At least don’t use your mind too hard,
But trust my instinct—I’m a bard.
“Frost aveva l’immaginazione acustica, vocale: coltivava la frase vivida, vitale, i suoni vivi del parlato: l’azione della voce”, scrive Ottavio Fatica in questo bel volume Adelphi, finalmente una raccolta in italiano (con testo a fronte) che permette di apprezzare appieno Frost. E questo gusto della parola conta più di qualsiasi altra cosa, naturalmente, è ciò che rende così piacevole e viva la poesia di Frost (pensate alle più famose, come The Road Not Taken, Bereft o Mending Walls).
Ma forse ha ragione McCloskey e Frost è fra i pochi poeti che sappiano raccontarci un mondo fatto di cooperazione e di scambio economico, di lavoro manuale e di attenzione al dettaglio, ovvero che “The fact is the sweetest dream that labor knows” (Mowing). Come in The Tuft of Flowers, dove si descrive la collaborazione a distanza fra la voce narrante, che è quella di chi sta andando a voltare il prato, e chi l’ha falciato “in the dew before the sun”.
‘Men work together,’ I told him from the heart,
‘Whether they work together or apart.’
Anche se non sono presenti, nello spazio, allo stesso tempo, gli uomini lavorano assieme - che lavorino assieme o separati. Per tutti noi che non riusciamo a dimenticare le grandi storie che abbiamo appreso da bambini, i poemi epici che abbiamo studiato da ragazzi, è più facile pensare a una poesia dello scontro, del conflitto, semmai del dolore. Frost riesce a fare grande poesia, invece, sulla pace del lavoro, della collaborazione, dello scambio.
Robert Frost, Fuoco e ghiaccio. Poesie, Milano, Adelphi, 2022, pp. 547.