Il patriottismo pandemico
Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie. Quando Giorgia Meloni ha detto che il prossimo Presidente della Repubblica deve essere un “patriota” (come se fin qui al Colle avessimo avuto solo spie russe o obiettori di coscienza) a me è venuto in mente l’aforisma di Samuel Johnson. C’è qualcosa di canagliesco nella nuova ordinanza del Ministro Speranza, arrivata ieri assieme alla proroga dello “stato di emergenza”.
Le disposizioni sono note: per entrare in Italia, da tutti i Paesi inclusi quelli dell’Unione europea, anche i vaccinati dovranno sottoporsi a un tampone e i non vaccinati dovranno mettersi in quarantena. E’ una sorta di Italexit sanitaria. Immaginate che le vicende della democrazia italiana fossero meno turbolente di quelle che conosciamo e che premier fosse ancora Giuseppe Conte e la maggioranza di governo composta da Cinque Stelle e Lega. I sovranisti (pardon, i “patrioti”) stapperebbero champagne (anzi, Franciacorta).
La Vice Presidente della Commissione Věra Jourová ha reagito ieri con una dichiarazione stentorea. La misura del governo italiano è pericolosa per l’Unione europea, dove con i vaccini si era arrivati a ripristinare regole omogenee per il movimento delle persone. Cambiando le regole, l’Italia stimola gli altri Paesi a farlo a loro volta: un po’ per rispondere a una sorta di schiaffo politico (“consideri il mio territorio meno sicuro del tuo? Benissimo, io faccio lo stesso”), un po’ perché alzando l’asticella il nostro Paese indirettamente alimenta l’opinione pubblica “chiusista” negli altri. Il capo politico la asseconderà, spaventato dall’eventualità che, se le cose andassero male, qualcuno possa rinfacciargli di non “aver fatto come l’Italia”. Può verificarsi un “effetto domino” e con conseguenze davvero pericolose: la libertà di movimento non è un ammennicolo ma il cuore della stessa idea di Unione europea.
Gioverebbe ricordare che il “Green Pass” era nato appunto per evitare che l’UE finisse vittima di un incrocio di divieti “nazionali”.
Ma l’ordinanza del governo è anche fuoco amico contro il Generale Figliuolo (sempre sia lodato) e la campagna vaccinale in Italia. Da mesi il ritornello dei No Vax è che il vaccino non protegge dalle nuove varianti e che dunque il “Green Pass” è sostanzialmente inutile rispetto agli obiettivi dichiarati. Il corollario di questa idea (che immagina che la protezione vaccinale sia irrilevante rispetto alla capacità di diffondere il virus e che trascura che il nostro problema è evitare che gli ospedali vadano in tilt, non che Sars-Cov-2 resti fra noi) è per l’appunto che solo il tampone possa garantire una buona visione d’insieme dell’andamento della pandemia. Nel perimetro nazionale, abbiamo adottato un “super Green Pass” che impedisce a persone non infette ma non vaccinate di dimostrare di essere sane e di accedere a tutta una serie di attività. Alla frontiera, consideriamo il vaccinato infetto sino a prova contraria.
Quest’ordinanza dimostra non solo che il principio di non-contraddizione è poco popolare fra i politici, ma anche come sia difficile governare quando pezzi di opinione pubblica chiedono sempre che si faccia “di più”, come se fare “di più” significasse fare bene. In un articolo pubblicato oggi su Linkiesta, ma scritto prima di queste ultime scelte governative, Gilberto Corbellini e io scriviamo:
È un’inclinazione umana, un bias, pensare che si potrebbe fare di più per risolvere qualche problema, o che ci sia qualche perverso complotto per cui non converrebbe a chi governa non fare quello che noi sappiamo essere necessario, ecc. Di fronte a una minaccia che si sta protraendo da due anni, senza che se ne intraveda una definitiva uscita, questi ragionamenti di senso comune inquinano anche il pensiero di persone di solito lucide.
(…)
Abbiamo più volte scritto che la storia non è fonte di insegnamenti, in positivo. Ma per evitare di avvitarsi in autoinganni ridicoli, qualche spunto lo fornisce.
In primo luogo, suggerisce di pesare razionalmente le situazioni nelle quali ci si trova. Per esempio, l’influenza Spagnola uccise in Italia 466mila persone in circa un anno e mezzo (70mila erano militari, esposti quindi all’ambiente insalubre delle trincee), su una popolazione complessiva di circa 30milioni di persone la cui speranza di vita alla nascita era intono a 50 anni.
In circa due anni Covid-19 ha mietuto un terzo di vittime su una popolazione che è doppia e dove la speranza di vita alla nascita è di 82 anni. Nel 1919 non poterono fare altro che aspettare che le pandemie facesse il loro corso, e così è stato per le pandemie influenzali fino a quando non è diventata disponibile la tecnologia, nel secondo dopoguerra, per fare e adattare annualmente i vaccini anti-influenzali. Noi disponiamo contro Covid-19 di efficaci vaccini – più efficaci di quelli antinfluenzali – e di eccellenti sistemi logistici. Ma serve sempre… ben altro.
L’unica misura di contrasto della pandemia, ovvero l’unico intervento che sulla base di prove sappiamo essere risultato efficace, è stata dunque la vaccinazione. Non ci sarebbe nulla di sorprendente se per alcuni anni dovessimo tenere a bada il coronavirus con periodiche vaccinazioni. Meglio che morire o chiuderci in casa.
Quello che non dovremmo fare è disinformare sui vaccini. Dire che i vaccini danno un falso senso di sicurezza significa portare acqua al mulino degli esitanti. Il fatto è che le comunità umane dovrebbero cercare di tornare a funzionare come società aperte, ripristinando relazioni basate sulla fiducia e sulla simpatia reciproca, vedendo l’altro come amico, controparte commerciale, collega e non come vettore di infezione.
Purtroppo il benaltrismo sui vaccini avrà effetti deleteri: conforterà le intuizioni dei complottisti, scoraggerà gli esitanti dal sottoporsi alla seconda o alla terza dose, ridurrà la fiducia nelle istituzioni in un momento in cui di quella fiducia ci sarebbe bisogno. Ma il tricolore garrisce fiero, in questo gelido cielo di dicembre.