Oppenheimer è uscito nelle sale, anche in Italia, ed è un gran bel film. Di quelli che dimostrano la potenza del cinema. Come tutti i grandi registi, Christopher Nolan vuole raccontare una storia, mica scrivere un editoriale. Il suo racconto di Robert Oppenheimer offre allo spettatore diversi livelli di lettura, senza voler piallare le ambiguità del personaggio. Fisico di fama internazionale, americano ma maturato scientificamente in Europa, Oppenheimer era curioso di arte e poesia, attento agli sviluppi sociali, vagamente “di sinistra” ovvero un militante (per quanto non tesserato) del Partito comunista americano. Se ne allontana quando viene chiamato a dirigere il più importante progetto scientifico-militare della storia, per l’intuizione (geniale) del generale Leslie Groves, che sa bene che Oppenheimer è un teorico, non un uomo da laboratorio, e probabilmente anche un comunista, ma intuisce che il suo carisma personale è la chiave di volta per un team di ricerca complesso e fatto di individualità complicate. A Oppenheimer la politica piace e trasforma il rimorso per la bomba (“Sono diventato Morte, il distruttore di mondi”, questa la citazione del Bhagavadgītā da lui resa famosa) nel tentativo di consigliare il Principe, suggerendo forme di cooperazione internazionale che imbriglino la minaccia di una guerra atomica. Siccome la prima bomba sovietica arriva quattro anni dopo quella americana, comprensibilmente a Washington comincia a serpeggiare il dubbio che i fisici avessero più che vaghe simpatie per la sinistra radicale. Come direbbe un giovane, ho già “spoilerato” a sufficienza.
In assenza e per così dire in preparazione del film, quest’estate mi sono letto questo mattone biografico, del quale la pellicola dovrebbe essere un adattamento. Lo dico senza dubbio alcuno: per una volta lasciate perdere il libro e andate direttamente al cinema.
Una vecchia regola suggerisce che dai racconti brevi si traggano grandi film e dai libri lunghi ne vengano di pessimi. Oppenheimer è un’eccezione, anche perché della biografia di Bird e Sherwin, vincitrice di un Premio Pulitzer (un solo commento: mah), Nolan prende i fatti, la storia, e poi la profondità psicologica ce la mette lui, la strepitosa colonna sonora di Ludwig Göransson, la recitazione di Cillian Murphy e di un cast semplicemente straordinario.
Perché dico che è un brutto libro?
Anzitutto, perché speravo di imparare un po’ di fisica (non di imparare la fisica, ovviamente, solo di terminare la lettura con qualche idea un po’ più abbozzata) e invece la mia ignoranza non è stata scalfita né poco né punto. I due autori presentano tutta una galleria di pesi massimi con qualche nota sbrigativa sul loro pensiero, più modello Bacio Perugina che Wikipedia, e ciò che noi apprendiamo, di questi scienziati, è sostanzialmente il nome.
Come biografia, il libro di Bird e Sherwin è prolisso e superficiale nonostante il profluvio di informazioni. Le vicende sentimental-sessuali del biografato sono passate al microscopio, anche se la loro rilevanza ai fini della formazione dello scienziato sono dubbie. Per il primo quarto direi che si tratta di un testo veramente trascurabile, e persino un po’ sciatto.
Bird e Sherwin si riscattano quando si entra nel vivo del programma atomico, che poi è la ragione per cui uno vuol leggere un libro come questo. Gli autori non fanno economia di dettagli e offrono una narrazione serrata, intensa, di tutto quel ch’è successo. A chi si è mai trovato a coordinare gruppi di persone più o meno ampie, a doverle gestire, la ricostruzione puntuale di quelle vicende dirà qualcosa. Lo stile di leadership di Oppenheimer, fondamentalmente intuitivo ma anche votato al problem solving e tutto sommato non ostile ai compromessi, è l’elemento che meglio emerge dal volume.
Quando si avventurano in questioni politiche, al netto della sacrosanta difesa del diritto di uno scienziato di avere opinioni, Bird e Sherwin nulla fanno per ridurre l’impressione che l’adesione alla causa comunista di fior fior di cervello (e dei suoi amici, altrettanto brillanti) fosse frutto di una grandissima superficialità. Che non vuol dire assenza di letture o erudizione (ai suoi compagni, “Oppie” dice di avere letto Il Capitale), ma assenza di riflessione, di considerazione della realtà, di ragionamento informato.
Bird e Sherwin adottano la tesi della difesa, per intenderci, per cui fiancheggiare un partito senza averne la tessera, frequentarne militanti e reclutatori, avere contatti stretti con spie sovietiche, non rappresentasse un problema di sicurezza internazionale in ragione dello spirito patriottico di Oppenheimer. Siccome agli occhi dei posteri il personaggio è poco gradevole, viene facile prendersela con la paranoia di J. Edgar Hoover. Oppenheimer finisce alla gogna a causa degli spioni dell’FBI, di alcuni colleghi invidiosi, di qualche amicizia improvvida.
Anche in questo, il film è immensamente superiore al libro. Forse perché costretto dalla sintesi, Nolan ci fa simpatizzare con “Oppie” lasciando aperte diverse interpretazioni della sua vicenda. La maestria del narratore fa diventare la biografia di Oppenheimer una grande storia, che come tutte le grandi storie si presta a molteplici letture. Questo film monumentale è una celebrazione dell’intelligenza, che arriva a sottomettere la natura: “Prometeo americano”, appunto. Difficile non ritrovarci l’eterna vicenda del grand’uomo calpestato dai mediocri, per i quali la politica è solo una scusa. Si intuisce l’amor di patria che porta scienziati e militari a lavorare assieme. Si vede la grandezza dello sforzo di tutto un Paese, di cui il film racconta parte ma lascia intendere ve ne sia stata pure un’altra (dagli operai che costruiscono in tutta fretta una città nel deserto a centinaia di fornitori sparsi per il Paese, a loro modo coinvolti nel Progetto Manhattan).
Eppure. Eppure chi in sala tenga gli occhi ben aperti si accorge che il fisico, che è anche un pensatore “radicale” (terribile, sia nel libro che nel film, la traduzione di liberal, che dovrebbe essere social-democratico, con liberale: ma non sarà venuto da ridere ai doppiatori sentendo di tutti questi liberali nel Partito Comunista?), è il primo a rimangiarsi in tutta fretta le sue idee in nome della propria ambizione: segno che o ci credeva poco o lo esibiva con la noncuranza che è giusto riservare, per esempio, a un fazzoletto da taschino. La scena nella quale i fisici vogliono formare un sindacato, sul modello dei portuali di Harry Bridges, è giustamente comica. Nolan ci dice che i grandi scienziati sono poi esseri umani come tutti gli altri, non troppo diversi da politici e militari: capita che siano invidiosi, gretti, esibizionisti. Il trionfo di tre secoli di fisica, come aveva profetizzato Isaac Rabi (nel film, un ottimo David Krumholtz), è stata effettivamente un’arma di distruzione di massa.
E’ stato scritto che Nolan avrebbe dovuto fare un film su Truman (cui presta il volto, per una manciata di secondi, Gary Oldman), dal momento che ciò che gli interessa davvero sono i dilemmi morali e quindi Hiroshima e Nagasaki. Ma non credo sia una considerazione pertinente, perché non c’è solo la responsabilità di un uomo che decide di gettare due bombe a guerra finita, annichilendo 200 mila persone e dimostrando, se ci interessa provare a essere onesti almeno con noi stessi, di non essere granché diverso dai “mostri” contro cui combatteva. C’è l’entusiasmo di tutto un gruppo di ricerca, compattamente e fieramente antitedesco e con ottime ragioni, che assieme vive l’esperienza esilarante di una grande scoperta e il fervore morale della mobilitazione permanente. Salvo accorgersi che il “gadget” (Oppenheimer preferiva non si parlasse di “bomba”) che aveva progettato non poteva essere usato contro un nemico soltanto e soprattutto, una volta messo nelle mani degli uomini politici, non poteva poi essere loro tolto. A Los Alamos non volevano fabbricare uno strumento “neutrale”, Prometeo non desiderava regalare il fuoco a tutta l’umanità, accese una miccia, nella piena consapevolezza di chi avrebbe puntato il cannone. A tutto ciò Oppenheimer reagisce immaginando embrioni di governo mondiale, con una ingenuità pari se non superiore a quella con la quale aveva frettolosamente identificato la causa degli oppressi con quella del partito comunista.
Questo genio travagliato sta tutto in un dettaglio, non irrilevante, della sua biografia. Era un uomo che diceva di amare sopra ogni altra cosa il deserto del New Mexico e lo amava davvero, era l’unico luogo dove davvero riuscisse a trovare conforto e pace. Scelse di farci detonare la prima arma nucleare della storia.
Kai Bird e Martin Sherwin, Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica (2005), Milano, Garzanti, 2023, pp. 1270