La storia del mondo è la storia delle cose e la storia delle cose è la storia dei loro odori. In quarta di copertina questo libro di Aldo Nove viene definito “romanzo di formazione olfattiva”. L’autore alterna una panoramica generosa, ricchissima di curiosità, sul ruolo dei profumi nella storia dell’uomo, con la storia sua, la scoperta degli odori, agevolata dal fatto che a Viggiù, in provincia di Varese, sua madre e suo padre mandavano avanti un’edicola nella quale si smerciavano pure libri e profumi.
Questo racconto biografico aiuta a comprendere l’altro, e, se la storia di Nove (com’è noto, assai complicata) è sua e sua soltanto, è comunque impossibile non ritrovarci qualche tratto di una biografia condivisa. L’odore acre del San Bernardo dei vicini di casa, fradicio di pioggia. L’odore della cantina, delle cose vecchie, della muffa, della benzina e dell’acqua ragia. L’odore del paradiso: “un’immensa distesa di narcisi bianchi e l’azzurro del cielo. L’erba ancora bagnata, le nuvole come cotone bianco che si sfaldava, come zucchero filato mangiato della luce. Non avevo mai visto così tanti narcisi. Un oceano bianco e profumato”. L’odore della brillantina Linetti e del profumo Caron del nonno, un classico per generazioni.
Gabriele d’Annunzio, per dire
Per i profumi si indebitava. Si faceva spedire dal suo profumiere, tal Mario Ferrari, confezioni di profumi da provare, di cui spesso tratteneva un grande quantitativo. Era a conoscenza di tutte le novità della grande profumeria europea e apprezzava in particolare Caron (ma anche le invenzioni “della Chanel”), e proprio su Caron scrisse, in una lettera del 30 dicembre 1924, giocando con il latino dei Vangeli e il suo amore per le grandi marche, una curiosa, erudita facezia: “La parodia del Caro Verbum factum est: Caron(n) odoramen factus est. L’odore è fatto Caron”. Insomma anche d’Annunzio ritrovava in un profumo una sorta di essenza divina. Ma questa volta, segno inesorabile del mutamento dei tempi, si trattava non di un’essenza spirituale: piuttosto, del prodigio di una marca.
Nove ricorda di quando “per capire questa cosa degli odori” interpella un compagno di scuola particolarmente studioso, che lo costringe a fare un esperimento: bere il caffè. “Io mi sono rifiutato perché mi avevano insegnato che il caffè da solo lo bevono solo i grandi” ma il suo amico Luca insiste, “per spiegarmi l’effetto dovevo bere un po’ di caffè, anche un pochino, che mica mi faceva male, un pochino di caffè” e poi glielo fa bere tappandosi il naso. “Ho obbedito. Mi sono tappato il naso, ho bevuto il caffé e il caffè non sapeva praticamente di niente”. Poi Luca gli fa riaprire il naso e bere quanto era rimasto nella tazza. “E a quel punto, il caffè sapeva di caffè”.
Come dire che la realtà stessa ci è percepibile a mala pena, senza gli odori, senza i profumi, e questa è una cosa talmente ovvia che rischiamo di dimenticarcene. Invece ad Aldo Nove non è ovvia per niente, studia l’origine animale di odori ormai noti a tutti nella variante chimico-artificiale (come il muschio, a dispetto del nome), si diletta da profumiere dilettante, va all’Osmothèque, la Biblioteca del Congresso degli odori.
Quando, in All’inizio era il profumo, lo sguardo si allarga alla storia, Nove si preoccupa della vita de-odorata, della tendenza contemporanea all’igienizzazione, alla sanificazione di tutto. Lo rattrista pure il trend precedente, quello a preferire gli odori del progresso a quelli, diremmo, della tradizione, della campagna, di una vita più difficile ma più semplice.
Eppure se bisogna proprio trovare un “messaggio” in questo libro, se non basta il piacere di leggerlo per il gioiello di erudizione e di stile che è, è proprio che la storia di ogni società esistita sino a questo momento è storia delle lotte tra puzze e profumo (Parigi diventa la capitale del profumo proprio perché era la città con gli olezzi più sgradevoli d’Europa), le une indispensabili all’altro. Un mondo senza odori è un sogno (un incubo?) di insostenibile perfezione. Mica per nulla “Platone, nella Repubblica, arriva addirittura a concepire l’idea che la città giusta dovrebbe vietare ‘unguenti, profumi ed etere’ perché considerati piaceri superflui colpevoli di corrompere gli animi dei più giovani”. I profumi sono centrali nella storia del lusso, che è un pezzo non piccolo di quella dello sviluppo economico, perché rappresentano un aiuto non piccolo a trascorrere in modo un po’ meno spiacevole i nostri anni su questa terra.
Aldo Nove, All’inizio era il profumo. Storia personale, e universale, dei profumi, Milano, Skira, 2016, pp. 138.
Grazie Caro Alberto , di questi sabati in cui arrivano nuovi libri e nuove idee , ti leggo sempre con piacere , prima o poi spero di conoscerti di persona. Aldo Nove però non me lo aspettavo , ecco ma il bello è anche la sorpresa