Ce la ricordiamo soprattutto per la carica dei 600, uno dei più gloriosi disastri della storia militare. La battaglia di Balaklava è stata un film, famosissimo, con Errol Flynn, dal respiro epico, e poi un altro, sarcastico e forse più veritiero, con Vanessa Redgrave. Entrambi in inglese hanno il medesimo titolo, The Charge of the Light Brigade, che è poi quello di una celeberrima poesia di Alfred Tennyson.
Cannon to right of them, Cannon to left of them, Cannon behind them Volleyed and thundered; Stormed at with shot and shell, While horse and hero fell. They that had fought so well Came through the jaws of Death, Back from the mouth of hell, All that was left of them, Left of six hundred.
La guerra di Crimea (1854-1856) è uno dei crocevia della modernità. La miccia viene accesa da tensioni religiose, riguardanti le chiavi del Santo Sepolcro e il diritto dei cattolici ovvero degli ortodossi a occuparsene, necessariamente regolato da accordi con l’Impero ottomano. “Più di ogni altra potenza europea, l’impero russo aveva il suo fulcro nella religione. Il sistema zarista organizzava i rari sudditi in base al loro status confessionale e interpretava confini e impegni internazionali quasi esclusivamente in termini di fede”.
Quella dello zar Nicola, dunque, somiglia molto a una “crociata” vera e propria. I suoi avversari sono invece già personaggi a pieno titolo “moderni”. Napoleone III cerca lo scontro per abile calcolo politico: arruffianarsi i cattolici, a pochi anni dal colpo di Stato, e reinserire la Francia in un sistema di alleanze. In Inghilterra, l’opinione pubblica ha preso una svolta russofoba, sobillata prima dal diplomatico turcofilo (e un po’ paranoico) David Urquhart e poi suonata con compiaciuta vaghezza da Lord Palmerston. La “crociata” è di tipo nuovo. Il pifferaio Palmerston conduce i suoi topolini con le parole d’ordine del nazionalismo e il ricorso alle armi viene giustificato, come lo sarà da allora in poi, non sulla base di qualche gretto eppur concreto interesse, ma con le più altisonanti parole d’ordine (la lotta dei popoli oppressi e quant’altro).
Orlando Figes racconta questa guerra e il modo in cui le venne preparata la scena in un grande libro di storia, dove il gusto per il dettaglio non fa mai perdere di vista il quadro complessivo.
Fu una vicenda cruciale per i rapporti dei Paesi occidentali con Russia e Turchia, per il futuro assetto degli Stati nazione (come intuirono bene i piemontesi), per le ubbie e gli entusiasmi dell’opinione pubblica: fu il primo conflitto con dispacci in presa diretta o quasi, nel tripudio dei tifosi.
Come tutte le guerre, a chi ha un minimo di sale in zucca a posteriori pare assurda: dalle pretese sui luoghi sacri dello zar Nicola all’idea dei protestanti inglesi che gli islamici fossero dopotutto loro più vicini degli “eretici” ortodossi. Ma mentre gli eventi si fanno è difficile non farsi trascinare dall’entusiasmo, soprattutto se i campi di battaglia sono lontani e se riesce il gioco di raccontarsi come i difensori della civiltà contro la barbarie.
Orlando Figes, Crimea. L’ultima crociata (2010), Torino, Einaudi, 2015, pp. 530.