“I gatti sono molto meglio degli uomini”. Manca Vilfredo Pareto nella rassegna di scrittori e pensatori gattofili, da Montaigne (“quando gioco con la mia gatta, chissà se lei non fa di me il suo passatempo più che io di lei?”) a Doris Lessing, arruolati da John Gray per questa sua “filosofia felina”. Il saggio di Céligny l’avrebbe letta con approvazione.
Per Gray, i gatti non hanno nulla da imparare dagli umani (per quanto coloro fra noi che ne sono, di volta in volta, il passatempo credano diversamente) ma noi da loro potremmo apprendere come sgravarci del fardello che ci viene dall’essere donne e uomini. Nonostante la filosofia contemporanea sia un assembramento di aspiranti “obliteratori” dello stesso concetto di natura umana, una natura umana esiste: risiede precisamente nel cercare un significato al di là delle proprie circostanze.
Questa ricerca di senso arriva con la consapevolezza della morte, che è un prodotto dell'autocoscienza umana. Temendo la fine della loro esistenza, gli esseri umani hanno inventato religioni e filosofie in cui il significato della loro vita continua dopo di loro. Ma il significato che gli esseri umani creano si rompe facilmente, quindi vivono con più paura di prima.
La filosofia, che dovrebbe essere la cura, diventa la malattia. I pensieri rivoluzionari offrono una speranza, nemmeno troppo vaga, di superare la nostra condizione mortale (“quando Lenin venne imbalsamato l’obiettivo di alcuni di coloro che erano coinvolti nell’impresa era di farlo risorgere non appena la scienza avesse sviluppato i mezzi adeguati allo scopo”). Ogni tanto la ricerca di significato e il desiderio di auto-determinazione ci sfiniscono. “Molte persone sono state attratte da filosofie che offrono la prospettiva della loro scomparsa come individui distinti (...) La maggior parte del genere umano trova che essere un individuo sia un peso. Le filosofie della storia sono state inventate per alleggerirci di questo peso”.
I grandiosi sistemi d’idee ai quali aderiamo, affogandoci dentro quelle che amiamo liquidare come le miserie della quotidianità, rispondono a un bisogno di senso che finisce per alimentare se stesso. Identificarsi con un’idea è un modo per proteggersi dall’inevitabile: quanti lo fanno si sentono fuori dal tempo e “uccidendo coloro che non condividono le loro idee, essi possono pensare di avere sottomesso la morte”.
Come predatori, i gatti uccidono per vivere. Le femmine sono pronte a morire per i loro cuccioli e i gatti rischiano regolarmente la loro vita per sfuggire alla reclusione. Si differenziano dagli umani per il fatto che non uccidono e non muoiono per raggiungere un qualche tipo di immortalità. Non ci sono terroristi suicidi felini. Quando i gatti vogliono morire è perché non vogliono più vivere.
Nel libro, che è assieme un manifesto scettico e un balsamo per le ferite che ci infliggiamo da soli cercando nelle cose più senso di quanto ve ne sia, Gray immagina dieci consigli che un gatto potrebbe consegnarci su come stare al mondo. Ne cito solo due:
“Se sei infelice, puoi cercare conforto nella tua infelicità, ma rischi di farne il senso della tua vita. Non affezionarti alla tua sofferenza, ed evita coloro che lo fanno”.
“Cercare di persuadere gli esseri umani a essere razionali è come cercare d’insegnare ai gatti a essere vegani. Gli esseri umani usano la ragione per sostenere qualsiasi cosa vogliano credere, raramente per scoprire se ciò che credono è vero. Questo può essere spiacevole, ma non c'è niente che voi o chiunque altro possa fare al riguardo”.
I gatti sono molto meglio degli uomini, perché non hanno bisogno d’ingannarsi da soli per vivere.
John Gray, Feline Philosophy: Cats and the Meaning of Life, London, Picador, pp. 122