Non mancano i libri che vogliono insegnarci come vivere. In libreria trovate un numero imprecisato di “regole per avere successo”, una buona dose di “regole per investire”, principi, prescrizioni e proibizioni per perdere peso in quantità, eccetera. Qualche anno fa Jordan Peterson, probabilmente il maggiore intellettuale conservatore al mondo, sicuramente quello che è riuscito a raggiungere la platea più vasta, ha distillato le sue dodici regole per la vita (a cominciare dalla prima, nel mio caso quanto di più utopico: “Stai bello dritto, con le spalle all’indietro”), seguite da altre dodici. L’Arciduca Edoardo d’Asburgo-Lorena, ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede, si è messo nel medesimo mercato, con questo The Habsburg Way, tradotto Vivere da Asburgo. Sette regole per tempi difficili - che poi sono tutti, dal momento che le regole in questione sono il distillato dell’esperienza non della vita di un uomo, ma di quella di un intero casato.
L’autore ha tutte le carte in regola. Morto Giuseppe II nel 1790, divenne imperatore Pietro Leopoldo, già Granduca di Toscana, che prese il nome di Leopoldo II. Aveva messo al mondo un gran numero di figli, dei quali uno, Francesco, gli successe sul trono.
I discendenti dell’imperatore Francesco II costituiscono il ramo viennese della famiglia: Francesco Giuseppe, poi il beato Carlo, e giù fino a Otto d’Asburgo e i suoi fratelli. Il fratello di Francesco, il Granduca di Toscana Ferdinando, rimase a Firenze e i suoi discendenti costituiscono gli Asburgo-Lorena di Toscana. Molti Asburgo che oggi vivono in Austria sono Habsburg-Lothringen-Toskana: discendono infatti dai membri della famiglia granducale che ritornano a Vienna in seguito ai tumulti di piazza filo-piemontesi del 1859. I discendenti dell’arciduca Carlo, fratello di Francesco Ferdinando che sconfisse Napoleone ad Aspern e visse a lungo in Germania, formano il ramo Asburgo-Teschen: non ne sono rimasti molti. Infine l’arciduca Giuseppe, fratello minore di Francesco, Ferdinando e Carlo, si recò in Ungheria dove fu nominato Palatino - una sorta di viceré al servizio dell’imperatore - nel 1796. Giuseppe è il capostipite del ramo ungherese. Questo è anche il mio ramo e - come avete visto - è il più giovane dei quattro. Sono anche figlio del figlio più giovane della generazione precedente alla mia; quindi, se avessi l’ambizione di diventare un pretendente al trono, dovrei prima liberarmi in un modo o nell’altro di decine e decine di Asburgo.
Ma ovviamente fra le “regole degli Asburgo” non c’è quella di avvelenare i rivali, consanguinei o meno, tutt’altro. La critica più frequentemente rivolta alla dinastia è stata semmai quella di aver ampliato i propri possedimenti per via matrimoniale, anziché con le armi in mano, “critica” che Edoardo d’Asburgo non a caso ribalta nel primo dei suoi precetti. Se devi ampliare magari non il tuo regno, ma la tua influenza, meglio fallo stringendo alleanze di lungo periodo. Insomma, si prendono più mosche con il miele.
Quest’ultima è una mia interpretazione assai riduttiva della prima delle regole del Granduca e Ambasciatore. Il libretto, poco più di cento pagine, edito in Italia da un editore di Crotone, D’Ettoris (che smacco per noi del Lombardo-Veneto) e curato/tradotto da Maurizio Brunetti, prende alla lettera i suoi precetti. Che sono:
Sposarsi (e avere molti figli)
Essere cattolici (e praticare la propria fede)
Credere nell’Impero (e nel principio di sussidiarietà)
Tutelare il diritto e la giustizia (e amare i propri sudditi)
Essere consapevoli di ciò che si è (e vivere comportandosi di conseguenza)
Essere coraggiosi in battaglia (o avere dei bravi generali)
Ben morire (e avere un funerale memorabile)
Le regole sono precedute e seguite da due capitoli di taglio più storico e di mirabile sintesi: una breve introduzione al casato e una presentazione degli Asburgo di rilievo in tempi recenti. Fra i quali spicca, e non potrebbe essere altrimenti, Otto d’Asburgo (qui sotto fotografato con un sorridente Bruno Leoni, a un meeting della Mont Pelerin Society).
Fa benissimo Edoardo d’Asburgo a ricordare con affetto Otto che “ha attraversato l’intero Novecento svolgendovi un ruolo fondamentale” senza “mai lamentarsi dell’Impero che non aveva”. In Servire gli Asburgo si racconta quest’episodio, che credevo fosse apocrifo (too good to be true?), accreditandolo:
Nel 1910, l’anziano imperatore [Francesco Giuseppe] incontrò a Vienna Theodore Roosevelt, ex presidente degli Stati Uniti e premio Nobel per la pace. Quando Roosevelt chiese all’imperatore in che cosa esattamente consistesse il suo ruolo, sottintendendo - ho il sospetto - che i parlamenti eletti e i governi avessero reso la figura dell’imperatore un superfluo anacronismo, l’imperatore rispose semplicemente: «Io sono l’ultimo monarca della vecchia scuola. E’ mio dovere proteggere i miei popoli dai loro politici».
Che Francesco Giuseppe l’abbia detto o meno, nell’ultima parte del suo regno si comportava più o meno così. E’ ben noto, per esempio, che egli si rifiutò di “confermare” (la cosa spettava ancora all’Imperatore) il sindaco democraticamente eletto dai viennesi, Karl Lueger, un catto-nazionalista che Francesco Giuseppe considerava un pericoloso rivoluzionario e un antisemita della più bell’acqua. Sfortunatamente se l’Imperatore non lo confermava, i suoi sudditi continuavano a eleggerlo, e a un bel punto si mise di mezzo il Papa e Francesco Giuseppe dovette acconsentire.
Otto d’Asburgo tenne fede, per tutta la propria vita, a questa visione del mondo e se espresse della nostalgia per l’Impero che non gli era toccato in sorte essa non riguarda né il fatto del comando né i parafernali del potere. Ma la particolare civiltà che, con tutti i limiti e i difetti delle cose umane, quel grande Impero multinazionale era riuscito a esprimere, rivelandosi davvero l’ “altra metà del cielo” rispetto agli Stati che si giustificavano attraverso il principio nazionale. Per la prima parte della sua vita, fu acerrimo nemico di quell’ex caporale austriaco che riteneva gli Asburgo “la più miserabile delle dinastie che abbia mai regnato in terra tedesca”, provò a brigare come poteva contro l’Anschluss, coi suoi fratelli partecipò ai movimenti della resistenza. I fratelli Rodolfo, Felice e Carlo Ludovico entrarono nella resistenza austriaca, tornando in patria con documenti falsi procurati loro in Francia. Dapprima, rammenta Edoardo, s’impegnarono nel sabotaggio del regime ma, quando nel 1945 i nazisti cominciarono a far saltare per aria ponti e altre infrastrutture nel tentativo di farsi terra bruciata alle spalle, “combatterono per salvaguardarne l’integrità”.
Ma soprattutto l'ultimo arciduca ereditario d'Austria e d'Ungheria fu uno dei principali esponenti del Movimento Internazionale Paneuropeo e poi parlamentare europeo, per la CDU. Nell’idea di Europa unita non è difficile ritrovare una qualche versione, riveduta e corretta per i tempi, della vecchia idea imperiale, soprattutto se stiamo alla visione dei padri fondatori che non pensavano a una versione “pantografata” dello Stato nazionale ma a qualcosa che fosse da esso radicalmente differente. A ciò Otto aggiunse l’idea che “la Paneuropa è tutta l’Europa”, cioè che la cortina di ferro non dovesse definirne l’assetto permanente. L’Arciduca aveva tutta la flemma del diplomatico, ma sapeva essere diplomaticamente un uomo d’azione.
Il 19 agosto 1989, Otto organizzò il famoso picnic paneuropeo nei pressi di Sopron, al confine tra l’Austria e l’Ungheria. Sua figlia Walburga e l’autore di questo libro erano presenti quando centinaia di profughi tedesco-orientali fuggirono in Occidente utilizzando l’apertura ai confini che il governo austriaco e quello ungherese avevano concordato per consentire ai Paneuropei ungheresi di attraversare il confine e unirsi al picnic che si teneva dall’altra parte della recinzione. Fin qui ho riportato la parte ufficiale della storia. Altri particolari consentono di ricostruire anche i retroscena. L’Unione Paneuropea aveva pubblicizzato questo picnic distribuendo volantini guarda caso, nei pressi dell’ambasciata ungherese della Repubblica Federale di Germania - della Germania Ovest di allora -. e delle chiese dell’Ordine di Malta a Budapest, dove centinaia di rifugiati tedesco-orientali erano accampati da settimane. Un folto gruppo di questi rifugiati si era recato al confine e, quando la recinzione fu tolta, lo varcarono in tutta fretta verso occidente. Tempo dopo, Walburga ed io ci siamo confrontati con la guardia ungherese di quel piccolo valico di frontiera. Ci ha detto: «Mi ero accorto di quella folle enorme e potevo fare solo due cose: sparare o guardare in un’altra direzione».
Per fortuna si voltò dall’altra parte. Nel raccontare la sua terza regola, col sorriso sulle labbra Edoardo spiega che la cattiva fama degli imperi si deve anche a George Lucas: “in Guerre stellari, un’immensa galassia è tiranneggiata da un imperatore incline agli intrighi e dalla voce chioccia che ha la meglio su una democrazia debole e burocratizzata”. Ma la stessa idea di fare il bello e il cattivo tempo su migliaia di mondi da Coruscant fa ridere, come del resto il franchise della saga dimostra più e più volte.
“Un detto salace e spiritoso sul fatto che il Sacro Romano Impero non sarebbe stato né sacro né romano né tantomeno un impero” ricorda Edoardo, e tutto sommato era un bene. “Il governo dell’impero era blando e veniva principalmente esercitato attraverso negoziati continui tra l’imperatore e i numerosi governanti locali”. Col tempo quel sistema di scambi politici originò un mosaico magari confuso, ma nel quale diversi territori godevano di ampia autonomia. “Francesco II, agli inizi del secolo XIX, soleva affermare che un impero si poteva dire ben governato se tutte le nazioni sotto di esso erano moderatamente scontente allo stesso modo. Secondo Otto d’Asburgo, l’obiettivo era quello di adattarsi alle diverse realtà nazionali pur guidandole verso un obiettivo comune”, che era la difesa dell’orbis europaeus christianus. Ad alcuni elementi di una cultura comune (la cristianità e poi i suoi derivati), corrispondevano differenze che quel mondo magari non “esaltava” ma almeno tollerava, senza pensare di schiacciarle nella gabbia delle identità nazionali.
Se gli Asburgo arrivarono, con Francesco Giuseppe, a concepire così il proprio Impero, facendo poi di questa visione una sorta di manifesto con Otto, è probabilmente anche sulla scorta di una serie di tentativi di centralizzazione falliti, di cui Edoardo dà conto, sottolineando in special modo la hybris illuminista di Giuseppe II. Ma scrivendo da ambasciatore e libero intellettuale, e non da sovrano, Edoardo può concedersi il lusso di ricordare che la “sussidiarietà” è un sistema prudente perché non mette tutte le uova nello stesso paniere e consente di sperimentare a un livello più basso, locale, con rischio inferiore, soluzioni che altri metterebbero in atto da subito a livello nazionale o europeo.
Per suggerire qualcosa sul carattere di Otto d’Asburgo, Edoardo riporta in nota, specificando che è falso, un aneddoto celeberrimo.
Un giorno i colleghi [europarlamentari] austriaci di Otto erano particolarmente elettrizzati. Che partita si sta giocando?, chiese Otto distrattamente. Austria-Ungheria, gli rispose. Si, aggiunse Otto, ma contro chi. Ho riportato l’aneddoto solo per sorridere un po’. Ho verificato personalmente: Otto non ricordava di averlo mai detto; inoltre circola una versione della storiella adattata a Francesco Giuseppe.
Aggiungo un’altra storiella. Otto fece parte della Mont Pelerin Society, la società di studiosi liberali fondata da Friedrich von Hayek. La società, oltre a studiosi eminenti (inclusi un certo numero di Premi Nobel: Hayek, Milton Friedman, George Stigler, James M. Buchanan, Maurice Allais, Ronald Coase, più di recente Vernon Smith e Mario Vargas Llosa), ha sempre avuto fra i propri membri anche qualche uomo politico e qualche attivista per cui la libertà individuale era un valore centrale (per esempio l’ex ministro del tesoro neozelandese Ruth Richardson o l’ex presidente ceco Vaclav Klaus). Otto d’Asburgo ci arrivò, pare, per puro caso. Stava guidando per i bricchi svizzeri quando la sua automobile ebbe un problema e si fermò a chiedere aiuto all’hotel più vicino. Qui, nella hall, incontrò Hayek che tornava da chissà quale sessione. Immaginatevi il dialogo. Sua Altezza, anche lei qui. Buonasera Hayek, lei che ci fa in Svizzera. Altezza, stiamo facendo una riunione sul futuro della società libera, le va di partecipare?
Non so se Edoardo d’Asburgo si sarebbe trovato altrettanto a suo agio in quella compagine. Le sue “regole” sono scritte e pensate per un lettore conservatore. Sono argomentate con arguzia, non tralasciando di prendersi in giro sulla presunta tendenza all’endogamia e sul famoso “mento asburgico”. Non tutti gli antenati gli vanno a genio: più erano cattolici e più si distinsero nella difesa della fede e più garbano, Giuseppe II è liquidato alla maniera di un pericoloso rivoluzionario e anche con Maria Teresa non ci va per il sottile. E’ un po’ curioso che non faccia capolino nelle sue pagine un Metternich: se è vero che Francesco Giuseppe imparò a Solferino che l’imperatore non è per diritto divino un grande stratega, prima di lui l’Impero fu forse salvato dall’acume di qualche consigliere e non solo dalla tempra dei monarchi. Ma del resto non appare neppure Mozart (ingaggiato e un po’ preso per i fondelli dall’odiato Giuseppe II), quando forse proprio la grandezza musicale di una città e in generale i suoi fermenti culturali qualche cosa di positivo sugli Asburgo e su questo tentativo di regnare riconoscendo il pluralismo lo dicono.
E’ difficile pensare che possa essere un libro a poter dire a te, lettore, se sposarsi o meno è una scelta che produrrà felicità o ansia nella tua vita e forse le ragioni che portarono a cucire assieme regni diversi per via nuziale non si adattano molto al vissuto di noialtri. Sicuramente “sapere da dove si viene” e chi siamo, nel mondo, aiuta a darsi pace, ma non molti possono trovare la risposta in un albero genealogico o specchiare la propria identità nel collare del Toson d’oro.
L’impressione però è quella di trovarsi di fronte a un autore in limpida buona fede, che cerca in quel passato e nel suo modo di essere Asburgo qualche ammaestramento da offrire a una società che vede sempre più spaesata. Sarà l’abitudine del diplomatico o sarà il carattere, lo fa riuscendo a predicare senza predicozzi e prendendosi di tanto in tanto un po’ in giro. Paragonando il prussiano e l’austriaco, Hofmannsthal diceva che il primo ha visioni moderne, il secondo tradizionali. Che il primo ha talento per le idee astratte, il secondo no. Che il primo è tutto d’un pezzo e mostra grande sicurezza di sé, il secondo invece all’apparenza è un eterno immaturo ma è dotato di autoironia. Chissà se è vero anche per l’ungherese, sicuramente lo è per l’Asburgo.
Edoardo d’Asburgo-Lorena, Vivere da Asburgo: Sette regole per tempi difficili, Crotone, D’Ettoris, 2023, pp. 162.
Mingardi, noi che da Stephan Zweig siamo passati a Robert Musil...o che, come me, siamo nipoti dei Cavalieri di Vittorio Veneto...siamo vaccinati