Il prossimo ottobre l’Argentina tornerà al voto, per scegliere presidente e vicepresidente. L’inflazione è al 104% e l’attuale Presidente, Alberto Fernandez, ha già annunciato che non si ripresenterà. L’opposizione antiperonista ha più di una chance ma è divisa. In caso dovesse diventare forza di governo, dovrà governare con maggiore decisione di Mauricio Macri, l’imprenditore che, nel 2015, sembrava essere riuscito a mettere un punto alla lunga stagione peronista lasciandoci sperare che le tendenze populiste potessero essere invertite anche in altri Paesi.
Macri vinceva le elezioni due anni dopo che un argentino, Jorge Maria Bergoglio, veniva eletto al soglio di Pietro. Bergoglio ebbe scarsa simpatia pubblica per Macri, nonostante i giornali, dopo la fumata bianca, lo identificassero come un avversario politico della coppia peronista che aveva “occupato” l’Argentina degli anni Duemila, Néstor e Cristina Kirchner. Con l’elezione di Bergoglio, di cui venne a sapere su un treno di ritorno per Bologna da un seminario a Roma, cominciò anche la collaborazione di Loris Zanatta col quotidiano argentino La Nación. Gli telefonarono per chiedergli un commento, come fecero altri media italiani. Allora, Zanatta era già un affermato storico dell’Argentina. L’essere italiano, sostiene Fernando Iglesias nella prefazione a questo libro, lo aiuta: perché gli consente di vedere le vicende argentine da una tradizione che ha, con quel Paese, molti punti di contatto ma anche qualche differenza importante. Per parte mia, posso dire che la presenza di Zanatta nel dibattito pubblico di quel Paese è talmente forte che quando, nel mondo ispanoablante, mi pavoneggio dicendo di conoscerlo, tutti mi chiedono come mai conti fra i miei amici un professore argentino.
Questo saggio, poco più di cento pagine, riprende il filo degli altri lavori di Zanatta, incluso lo straordinario Il populismo gesuita, un libro da leggere e rileggere. Più che altrove, qui l’autore si concentra sui temi dell’economia: il suo punto di vista è, in pieno accordo con storici come Deirdre N. McCloskey e Joel Mokyr (che cita), è che le istituzioni economiche di un Paese siano profondamente influenzata dalla sua cultura. Da questo punto di vista, l’economia di mercato è anzitutto una “cultura”: un insieme di idee su ciò che gli individui possono o meno legittimamente fare. Ed è una cultura anche la “fabbrica dei poveri”: una cultura imperniata sul sospetto della ricchezza e al contrario sulla superiorità morale della povertà, comunque originatasi.
Bergoglio va inserito in una tradizione, che è quella del nazionalismo argentino che ha fatto del cattolicesimo la sua spina dorsale. In America Latina (come ha scritto più volte Zanatta, ma come sostiene anche Carlos Rangel in un libro importante, Del Buen Salvaje Al Buen Revolucionario, che presto verrà ripubblicato da IBL Libri) prevale una sorta di cattolicesimo rousseauviano: l’America Latina è una terra di utopie per tutti gli europei che abbiano voluto immaginarvene una, e così è pure per i cattolici, che qui ricostruiscono una “purezza” organicistica, libera da tutte quelle contaminazioni con altre confessioni cristiane e, soprattutto, col progresso economico e il liberalismo politico, che ne segnano invece la storia in Europa.
Zanatta spiega come la nazione del nazionalismo cattolico argentino abbia come mito fondatore la cacciata delle elites liberali dal potere: come il successo economico del Paese, a fine diciannovesimo secolo, quando forti erano i legami economici e culturali col mondo anglosassone e convinte le elites nell’abbracciare il capitalismo moderno (sono i tempi nei quali in tanti migravano in Argentina, certi di potervi trovare opportunità), sia visto come una colpa dalla quale redimersi. La redenzione passa per il “giustizialismo” peronista, per la centralità di un “popolo” primigenio e puro (che non coincide, ovviamente, con la totalità della popolazione) che deve essere affrancato da tutto ciò che sa di dominazione (economica) straniera.
Cinque anni prima di diventare Papa, Bergoglio poteva dire che non ci sarebbe scandalo più grande “di un Chicago Boy a messa”. Parlando della sua famiglia di laboriosi migranti astigiani, ha detto di recente (2021) che “lavoravano duro ma non mettevano i soldi in banca”. L’affidare i propri risparmi a un istituto di credito come un tabù morale (come poi i Bergoglio si comportassero davvero, è tutto da vedere: Zanatta ricorda che proprio dalle banche passavano le rimesse per i Paesi d’origine).
Questo libro non è un’invettiva contro il Papa, che del resto fa il Papa e non il Ministro dell’Economia o l’economista. Ma è un’analisi sintetica quanto illuminante di come l’ostilità nei confronti dell’attività economic
a abbia, di fatto, determinato la tragedia economica di un Paese. La cultura conta.
Loris Zanatta, El Papa, el peronismo y la fábrica de pobres, Barcellona, Libros del Zorzal, 2023.