Negli scorsi trent’anni, in molti hanno provato a “dare una cultura alla destra”. Si è trattato spesso di operazioni velleitarie, non perché “a destra” manchino intelligenze, accademici, scrittori: ma perché mancano lettori, manca la vanità o l’abitudine di esibire sul tavolo del salotto l’ultimo tomo di Piketty anche se lo si è sfogliato appena, manca cioè l’idea che la propria identità promani dalle pagine stampate, che è quello che fa della sinistra una tribù culturale prima che uno spazio politico.
A dispetto di un facile luogo comune, lo scarso interesse per la cultura in generale, e la cultura politica in particolare, non è proporzionale alla distanza dal “centro”. Al contrario: solo i gruppi più periferici hanno provato ad appoggiarsi alla legittimazione culturale, affamati di parole che potessero spiegare le loro ansie e le loro ambizioni. I moderati, in Italia più che altrove, si aggrappano all’istinto e proprio per questo oggi non riescono a resistere alla corrente del politicamente corretto, che pure si trascina via le certezze cui sono più affezionati.
Aldo Canovari, scomparso giovedì scorso a Macerata all’età di 76 anni, tentò qualcosa di ancora più spericolato che dare una cultura alla destra: dare una cultura ai liberali. Per questo, Canovari inventò la sua Liberilibri, sottraendo con gusto tempo ed energie all’attività professionale e imprenditoriale.
La strana idea di farsi editore aveva radici politiche. Aldo non si riconosceva più nel Partito liberale degli anni Ottanta, accomodatosi nel pentapartito e infastidito dalla novità storica rappresentata da Thatcher e Reagan. Valerio Zanone era un uomo colto e rispettabilissimo, ma intimamente convinto che il battesimo risorgimentale avesse redento lo Stato da qualsiasi peccato. Da giovane, Bruno Leoni (che era anche un militante del Pli) lo canzonava: Zanone non faccia il comunista pure lei che ne abbiamo già tanti. L’ammonimento leoniano non servì a granché.
Canovari pensava che “liberalismo" non fosse una parola passe-partout bensì una teoria della limitazione del potere e sapeva che lo stesso suggerivano sia i classici di quella tradizione di pensiero sia il meglio della produzione contemporanea. Che però in Italia arrivava poco e male, in un tempo nel quale la traduzione suggellava il rilievo di un’opera. Vallecchi aveva tradotto Hayek e Friedman e se ne erano vendute dozzine, non centinaia, di copie; Nozick era stato pubblicato in italiano prima di Rawls ma senza conseguenze; l’unico tentativo serio di aggiornare la cultura liberale del Paese era stato compiuto da Dario Antiseri, con la collana “La filosofia contemporanea” per Rusconi. Anziché lamentarsi dei libri che non c’erano, Aldo decise di farli.
Come ha scritto Giuliano Ferrara, “Aldo Canovari aveva due principali ossessioni razionali: la rivolta liberista contro l’esproprio fiscale della sovranità dell’individuo e il garantismo giuridico più radicale, assoluto, pannelliano di fatto e di scelta”.
Per questo la prima e principale collana di Liberilibri, “Le oche del Campidoglio”, sarà ricordata per avere riscoperto la tradizione del liberalismo classico ma anche per aver importato il libertarismo americano - e la piccola biblioteca del garantismo italiano sta tutta in quella collana.
Difendere l’indifendibile di Walter Block fu il primo successo, Canovari seppe farne un libro di culto, come non era avvenuto neanche negli Stati Uniti. Ateo, pubblicò Opus Diaboli di Deschner ma anche protagonisti del cattolicesimo liberale come Michael Novak, che sperava potessero rappresentare un vaccino per il catto-comunismo.
I tanti servizi che Aldo rendeva, con nonchalance, al liberalismo italiano erano improntati anche a una curiosa convinzione di fondo, l’idea di stare riparando a un’ingiustizia: al deficit di attenzione e di memoria, per alcuni autori e alcune famiglie del pensiero politico, dovuto all’incuria o peggio a certe amnesie dolose di studiosi e giornalisti ed editori. Aldo fece vergognare i liberali che avevano conosciuto Bruno Leoni e l’avevano allegramente rimosso. Fu lui, con la complicità di Raimondo Cubeddu, a farci leggere il capolavoro di Leoni, Freedom and the Law, con trentaquattro anni di ritardo sulla prima edizione in lingua inglese.
In una bella raccolta di saggi in onore di Canovari, che Serena Sileoni ha curato con affetto filiale nel 2016, quando già si facevano più evidenti i segni della sla, Carlo Lottieri scriveva:
In Freedom and the Law c’è un passo che forse più di altri esprime il senso profondo dell’operazione culturale condotta negli anni Cinquanta e Sessanta da Leoni e, ai giorni nostri, dalla Liberilibri: "La libertà non è solo un concetto economico o politico, ma anche, e forse soprattutto, un concetto giuridico". Perché se è vero che il liberalismo contemporaneo deve tantissimo a molti economisti e deve pure parecchio a taluni filosofi politici, è pur vero che il senso autentico di una teoria schierata a protezione della libertà risiede nella difesa della giustizia, nel rigetto della costrizione, nella tutela della proprietà.
Aldo Canovari ha colto chiaramente questo punto. Come molti altri liberali, nel corso degli anni si è appassionato sempre più all’economia: al modo in cui questa scienza analizza le interazioni sociali e coglie la complessità del reale. Ma la sua attenzione cruciale è sempre stata per un diritto non inteso in termini riduttivi (quale mera tecnica, proiezione della volontà del sovrano, gestione amministrativa), ma invece quale sofisticato insieme di principî e pratiche posto a salvaguardia della società.
Il diritto era sempre il punto focale nelle riflessioni di Canovari, anche nelle rare occasioni in cui prendeva personalmente la penna.
Ho sempre avuto l’impressione che ad Aldo piacesse far vergognare le persone. Farle vergognare della loro timidezza nel difendere le proprie opinioni, dei loro argomenti deboli, delle loro ipocrisie. Ha fatto vergognare una generazione di liberali italiani: ignoranti e ignavi. Faceva vergognare i più giovani, a cominciare da chi scrive, portandoli con il garbo e la sicurezza di un maestro a tirare i fili che avrebbero sconvolto il gomitolo dei loro ragionamenti. E come facevi a non vergognarti, quando ti restituiva una Introduzione o una traduzione annotata, con a margine osservazioni tipo: in questa pagina ci sono troppe forme avverbiali in "-mente". Erano quelli i momenti in cui capivi cosa dovrebbe essere un libro, per chi lo pubblica e per chi lo scrive. Fare dieci giri di bozze (undici, se non ricordo male, per il mio Spencer) era con Liberilibri qualcosa di perfettamente accettabile, perché dei suoi parallelepipedi di carta Aldo aveva una concezione sacrale, ciascuno era un mattoncino del più grande edificio ideale della società libera. Ricordo che se non erano grida di dolore poco meno, quando si avvedeva di un refuso: per esempio quando scoprì di aver stampato un “Bill of Wrights” con la v doppia. Le d eufoniche fuori posto non hanno mai trovato un avversario più pugnace.
Se aveva cominciato da liberale editore, Canovari divenne presto un editore liberale. Metteva nei suoi libri una cura maniacale per qualsiasi dettaglio: copertine, carta, caratteri. La stessa passione l'ha trasmessa alle sue collaboratrici, una squadra tutta al femminile sin da prima che la cosa andasse di moda. Il modello, più o meno dichiarato, era la grande editoria francese.
L’autobiografia di un editore è il suo catalogo e Aldo non a caso amava stamparlo il proprio catalogo, amava farne, con serena desuetudine, il libro dei suoi libri. A scorrerlo sono molte le scelte incomprensibili ma tutte erano Aldo, incluse le cantonate che come tutti ha preso e gli entusiasmi scriteriati in cui ogni tanto si faceva trascinare, spesso come diversivo per la vita di provincia. Se fosse nato in Piemonte, si sarebbe detto che era un bogianen, nel senso che non lo spostavi con le cannonate né dalle sue posizioni né da Macerata. Poteva passare ore a elencare i limiti del suo territorio, a cominciare dalla miopia della classe dirigente (politica e imprenditoriale), ma non si sarebbe mai immaginato altrove.
E’ morto dopo lunga malattia, durante la quale è stato accudito amorevolmente da Ximena, che gli ha reso un po’ più sopportabile l’insopportabile. Noi che gli volevamo bene, gli volevamo molto bene.
Grazie, insieme a ciò che ha scritto Aldo Maria Valli, è il più bel ricordo pubblico su mio padre.
Irene