La libertà dipende dal silenzio della legge, ma la legge ci ha preso gusto e non la finisce più di parlare. Non si tratta di un fenomeno solo italiano, come ogni tanto (con un autolesionismo in realtà è una forma di speranza) ci piace pensare.
Ecco un paio di esempio fra i tanti che sarebbe possibile pescare dal nuovo libro del giudice della Corte Suprema Neil Gorsuch e Janie Nitze (che è stata sua clerk), e che ovviamente riguardano tutti gli Stati Uniti.
Primo esempio.
Nella sua casa di Key West, Ernest Hemingway aveva un gatto polidattilo. Polidattilo significa che il micio è nato con un dito in più in una delle zampine (i gatti hanno cinque dita anteriori nelle zampe anteriori e quattro nelle posteriori).
I discendenti di quel gatto (presumibilmente, con qualche amico) vivono ancora in quello che oggi si chiama “Ernest Hemingway Home & Museum”. Il museo ne è molto fiero, come si può vedere dal sito web, che li mette bene in evidenza. Nel 2003, un funzionario del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha bussato alla porta della casa che fu di “Papa”, ha dato un’occhiata in giro e poi ha spiegato a chi di dovere che “il museo aveva bisogno di una licenza per tenere i suoi gatti”. I gatti, beninteso, dovevano essere confinati in gabbie o rifugi individuali - ovviamente, “per la loro sicurezza”. I poveri impiegati della casa museo rimasero un po’ perplessi. “I gatti avevano sempre vissuto una vita serena, vagando [loro e i loro progenitori] per la proprietà per più di quarant'anni”. Inoltre, mettere in gabbia animali che possono muoversi liberi in uno spazio sostanzialmente sicuro non sembrava una scelta molto animalista…
Come mai l’agente in questione (e i suoi colleghi che negli anni a venire avrebbero recitato la stessa parte) metteva il naso nel cortile di casa Hemingway? L’intervento si basava su una legge federale che impone agli “espositori” di animali, come “circhi e zoo”, di avere apposita licenza per gli animali che, appunto, esibiscono. Come circhi e zoo, non solo circhi e zoo. Quindi, per esempio, anche “mostre didattiche” e altre “esibizioni di animali”, dei generi più diversi (per esempio un mago che estrae conigli dal cilindro). I gatti di Hemingway non sfuggono alla regola.
I federali tornarono più volte al museo, non è dato sapere se dopo essersi letti Fiesta o Il vecchio e il mare. Certo è che sollevarono le questioni più diverse: il museo doveva assumere un guardiano notturno per i gatti. Oppure ridurne il numero. O mettere un filo elettrificato che desse la scossa ai mici che tentavano di lasciare la proprietà. In nome della “sicurezza”, tutto è lecito. Il direttore del museo, ligio alle norme e fiero dei suoi gatti, ha fatto domanda per una licenza. Due volte. Nel mentre veniva minacciato un provvedimento di confisca dei mici e multe per un valore di 200 dollari al giorno per ogni animale presente nella proprietà. “L'intera vicenda si è trascinata per cinque anni prima che l'agenzia concedesse al museo una licenza dopo che alcune modifiche erano state apportate alla proprietà”. Il museo “ha speso almeno 200.000 dollari per trattare con i funzionari dell'agenzia e mettersi in regola coi loro regolamenti sugli animali”. Non sappiamo quanto abbiano speso i contribuenti americani, però “CBS News ha documentato quattordici viaggi di agenti e una consulenza di 17.000 dollari per valutare i gatti”. Per cosa? Per controllare 19 esemplari della specie più incontrollabile in assoluto: i gatti.
Secondo, e più triste, esempio.
Nel 2007, il rappresentante di un’agenzia per la tutela della fauna selvatica salì a bordo della barca di John Yates, un pescatore della Florida. Il poliziotto del mare si era presentato dicendo che la sua era una “ispezione di sicurezza”, ma poi ha chiesto di aprire la stiva del pesce. Voleva “misurare i pesci - tutti e duemila i chili di pesce”. Una volta terminata l’operazione, conteggiò che “72 cernie erano al di sotto del minimo di 20 pollici stabilito dalle norme vigenti”. Qualche giorno dopo, agli stessi pesci vennero di nuovo prese le misure. Questa volta “l'agente trovò 69 pesci sotto misura, non 72”.
Tre anni dopo, sette agenti vestiti con giubbotti antiproiettile ed equipaggiati con minacciosi fucili irruppero in casa di Yates. Come sempre, all’alba. I pescatori, all’alba, sono in mare a pescare. C’era la moglie di Yates, Sandra, la quale venne informata che il marito “era accusato di aver violato la legge federale Sarbanes-Oxley e rischiava una potenziale condanna a vent'anni di carcere”. Ricordiamo tutti il Sarbanes-Oxley come una reazione allo scandalo Enron: Yates era un Gordon Gekko mascherato che faceva finta di pescare per vivere? Sfortunatamente no: “quella legge è scritta in termini molto ampi. La legge non si limita a rendere illegale la distruzione di documenti o registri finanziari ‘con l'intento di impedire, ostacolare o influenzare’ un'indagine federale. Proibisce anche la distruzione di qualsiasi altro 'oggetto tangibile' per lo stesso scopo”.
La teoria del governo era questa: John o un membro del suo equipaggio deve aver gettato in mare il pesce sotto misura [cioè le iniziali 72 cernie] che l'agente aveva identificato da principio. Prima di ritirarsi in porto, l'equipaggio deve aver sostituito quei pesci con altri nuovi (sempre troppo piccoli?) (…) Sulla base di questa teoria, il governo sosteneva che John aveva distrutto un “oggetto tangibile” - sì, il pesce - con l'intento di ostacolare un'indagine federale.
Alla fine gli Yates sono stati scagionati dalla Corte Suprema. Ma nel 2015, dopo aver perso “tutto quello che avevamo”. Intanto, i contribuenti avevano speso ben 11 milioni di dollari per occuparsi di quei pescetti.
Per cosa? Per 69 (o 72) cernie. A proposito, “quando l'agente è salito a bordo della barca di John nel 2007, la taglia minima di cattura per la cernia era di 20 pollici. Quando John è stato arrestato, tre anni dopo, le regole erano cambiate. La nuova lunghezza minima? Diciotto pollici”. Nessuno dei pesci contestati sarebbe stato considerato “piccolo” tre anni dopo, dalla stessa agenzia, proprio nel momento in cui stava avvenendo il processo. Sembra uno sketch dei Monty Pithon.
Questi esempi, insieme a molti altri (alcuni strappano un sorriso ma tutti dovrebbero farci ribollire il sangue) sono utilizzati da Gorsuch e Nitze per illustrare le conseguenze dell’ultra-legislazione: del fatto che non c’è più anfratto della vita associata sul quale il legislatore pensi di starsene zitto, di sospendere il giudizio, di (per usare quell’espressione così unanimemente odiata) lasciar fare. La maggior parte di questi aneddoti viene dall’esperienza del giudice Gorsuch in tribunale, sia alla Corte Suprema che alla Corte d'Appello del Decimo Circuito.
Il lettore europeo di solito pensa che gli Stati Uniti siano un Paese eccezionale, con tanti difetti ma nel quale lo Stato di diritto regge. Sono in realtà, esattamente come noi, un Paese di norme, non di diritto. In parte a causa di una Camera e di un Senato che non dormono mai, in parte a causa dello Stato amministrativo progettato da Woodrow Wilson per mettere le menti migliori e più brillanti alla guida della nazione (sempre una pessima idea), in parte perché il controllo giudiziario sulla legislazione ha perso denti e artigli.
Gorsuch e Nitze forniscono alcune cifre della “bufera di carta” che ha travolto Washington, D.C.
Meno di cento anni fa, tutti gli statuti del governo federale stavano in un solo volume. Nel 2018 il Codice degli Stati Uniti comprende 54 volumi e circa 60.000 pagine. Nell'ultimo decennio, il Congresso ha adottato in media 344 nuovi atti legislativi a ogni sessione. Ciò equivale a circa 2 o 3 milioni di parole di nuove leggi federali ogni anno.
Le agenzie “pubblicano le loro proposte e le norme finali nel Registro federale; le norme finali si trovano anche nel Codice dei regolamenti federali”. “Quando venne inaugurato, nel 1936, il Registro federale era composto da 16 pagine. Negli ultimi anni, il rapporto è lievitato in media di oltre 70.000 pagine all'anno. Nel frattempo, nel 2021 il Codice dei regolamenti federali comprendeva circa 200 volumi e oltre 188.000 pagine”. E “non solo le nostre leggi sono cresciute rapidamente negli ultimi anni (...) ma anche le sanzioni che esse comportano”.
Woodrow Wilson, ricordano Gorsuch e Nitze, voleva rendere l'America uno Stato nazionale finalmente simile a quelli europei. Ce l’ha fatta.
Eppure questi dati, che pure altrove è difficile trovare presentati con tanto vigore, sono in qualche modo noti a chi si occupa di politica. Costoro li avranno già incontrati leggendo qualche studio di questo o quel think tank. Ciò che Gorsuch e Nitze aggiungono, inanellando storie come gli esempi che abbiamo visto, è la dimostrazione che questa non è materia per saggi giuridici: ma è la vita della gente comune. Anche coloro che in teoria si preoccupano maggiormente dell'eccesso di legislazione hanno la fortuna di averne un'esperienza diretta e limitata. Il professore universitario può pontificare sulla complicazione delle norme edilizie, ma si renderà conto di quanto esse siano davvero un incubo solo nel momento in cui dovrà ristrutturare il suo appartamento. Nemmeno gli esperti hanno una conoscenza precisa e completa di come funzionano i regolamenti di questa o quella attività. E comunque gli esperti tendono ad approvare le norme che hanno proposto loro per primi. Storie come quelle di Gorsuch e Nitze ci permettono di metterci nei panni di chi le leggi le subisce e basta.
Gorsuch e Nitze verranno accusati di aver scelto degli aneddoti funzionali alla loro storia. Può darsi, ma questi aneddoti rivelano lo squilibrio fra peso delle norme, rigore nella loro applicazione, e pretesto “bene pubblico” che dovrebbero garantire. Il lettore, qualunque sia il suo orientamento filosofico, può facilmente convenire che 69 (o 72) pesci sotto misura non hanno la stessa importanza della vita di una famiglia e che i gatti di Hemingway potevano continuare a fare a meno della benevolenza del governo federale, come avevano sempre fatto fino ad allora. I costi sono elevati, i presunti benefici sociali si rivelano minuscoli. Ma Gorsuch e Nitze dimostrano pure che agli agenti federali, che in questi casi e in altri diventano il braccio armato della follia del legislatore, pensano di fare solo il loro lavoro, non immaginano neppure di stare esagerando. E forse gli stessi lettori del libro, se una nuova legge fosse presentata loro nei termini più generali, come si fa di solito, reagirebbero in modo diverso. “Ma qualcuno non pensa ai bambini?”, strilla la moglie del reverendo Lovejoy nei Simpson. C’è sempre qualche buona ragione per cui “pensare ai bambini”.
I Padri fondatori, o almeno uno di loro - James Madison - pensavano che il processo legislativo dovesse essere macchinoso. “Nei governi in cui è facile legiferare”, sostenne, le leggi possono diventare ‘così voluminose da non poter essere lette, o così incoerenti da non poter essere capite’ e possono ‘subire cambiamenti così incessanti che nessun uomo, che sappia quale sia la legge oggi, può indovinare quale sarà domani’. Meglio mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio. Nel suo La libertà e il diritto, Bruno Leoni ha sostenuto che è fuorviante identificare la certezza del diritto con la mera precisione verbale degli statuti. I legislatori possono modificare la legge scritta a loro piacimento, e di fatto lo fanno. Leoni scriveva quando lo Stato amministrativo stava appena iniziando a sviluppare i suoi tentacoli e si concentrava sugli statuti prodotti dal Parlamento. Ora abbiamo agenzie amministrative che possono integrare il diritto prodotto dal Parlamento nel modo che ritengono più opportuno, operando spesso come pubblico ministero e giudice allo stesso tempo. Il fatto che esista e sia consultabile Codice dei Regolamenti Federali di cui sopra non significa che abbiamo “certezza”; è un libro le cui pagine crescono e cambiano di anno in anno.
Gorsuch e Nitze hanno scritto un libro coraggioso e profondo. Innanzitutto, in netto contrasto con un'ipocrisia comune nella professione legale e ancor più tra gli studiosi di orientamento conservatore (sempre prodighi di “regole”), non hanno problemi ad affermare esplicitamente che le leggi sono una “restrizione alla libertà”. Se dobbiamo avere a cuore lo “Stato di diritto”, è proprio perché esso non consiste in nient’altro che una serie di pratiche che dovrebbero tenere a freno i legislatori.
Alcune leggi sono sicuramente essenziali per la prosperità della nostra nazione e per il nostro benessere come individui. Ma cosa succede ai valori dello Stato di diritto quando chiediamo sempre di più alla legge, quando insistiamo su regole nazionali prima di considerare soluzioni locali e quando permettiamo a funzionari non eletti di fare di più delle regole che ci governano?.
Nel difendere l’America della Costituzione e della Dichiarazione d’Indipendenza Gorsuch e Nitze sottolineano che i Padri fondatori avevano in realtà una soluzione, ovviamente imperfetta e fragile come ogni impresa umana. È il federalismo. La virtù di un sistema federale, in cui gli Stati sono sovrani su tutte le questioni non esplicitamente delegate al governo centrale, è che permette di fare esperimenti. Provare una nuova norma a livello locale, su una popolazione più piccola, prima di estenderla a livello nazionale, è anzitutto un modus operandi dettato dalla prudenza.
Ma è anche un’idea coerente con il fatto che dovremmo sapere che le nostre conoscenze sono limitate. La nostra conoscenza è imperfetta e anche il più competente degli esperti ha uno sguardo lucido solo fino a un certo punto. Neppure il più competente dispone poi della sfera di cristallo necessaria per vedere come le persone adatteranno il proprio comportamento alle nuove norme.
Se da un lato Gorsuch e Nitze criticano lo Stato amministrativo (e quindi le agenzie che sorvegliano questo o quel mercato, questa o quella attività) per buona parte dell'eccessiva produzione di norme in cui viviamo, dall'altro non credono che, qualora il Congresso riacquistasse il monopolio della legislazione, le cose si sistemerebbero facilmente. Essi considerano l'eccesso di norme come un fenomeno a più livelli e, in ultima analisi, come un'opera della società nel suo complesso. Il lettore italiano apprende con sgomento che gli Stati Uniti hanno una norma federale che stabilisce il diametro, massimo e minimo, dei maccheroni e dei vermicelli. Persino gli altrimenti esperimenti a livello locale/statale sono oggi gestiti secondo lo spirito dei tempi: parlando di licenze, “ad Annapolis, nel Maryland, non si può lavorare come cartomante senza una licenza”.
Uno dei motivi per cui abbiamo troppe leggi negli Stati Uniti e così pure in tutto il mondo occidentale è che la gente le vuole. Se una società crede che ogni problema abbia una soluzione nota al legislatore, finirà per avere sempre più norme man mano che nuovi problemi emergono. Gorsuch e Nitze sottolineano come questo atteggiamento stia mettendo a rischio l'intero sistema giuridico che i Padri fondatori avevano costruito sulla common law britannica.
I nostri due autori ipotizzano che sia necessario puntare sull’educazione, insegnando l'educazione civica. Questo è senz’altro necessario, se è vero che “meno della metà degli americani sa nominare i tre rami del nostro governo federale”, ma è difficile sostenere che sia sufficiente. Un altro motivo per cui continuiamo a sfornare leggi in eccesso, che Gorsuch e Nitze non considerano granché, è che possiamo permettercele. Qualunque sia l'inefficienza che il sistema legale produce, l'economia di mercato finora è sembrata in grado di sostenerla. All'epoca di James Madison, un modesto aumento della tassazione avrebbe potuto mandare in bancarotta una famiglia; per questo la gente rizzava le orecchie ogni volta che sentiva parlare di una nuova tassa. Se la regolamentazione è tassazione, lo stesso si può dire per le regole.
Gorsuch e Nitze sanno che deleghiamo così tanto potere alla politica perché “ci fidiamo sempre meno gli uni degli altri. Quando sorge un problema, non siamo più così inclini a fare affidamento sul giudizio individuale, sui nostri vicini o sulle nostre istituzioni locali per affrontarlo”. Gli Stati Uniti dovevano essere una società ad alta fiducia ed elevato capitale sociale, ma non lo sono più e per questo crescono meccanismi di controllo politico. Non è chiaro come si possa ricostruire la fiducia perduta, se non lamentando che le “abitudini del cuore” di un tempo non ci sono più.
Un libro non può risolvere tutti i problemi del mondo. Ma se ne identifica molti con grande chiarezza e nuove intuizioni, ha già reso un gran servizio. È il caso di questa splendida opera, un manifesto per il buon senso giuridico come non se ne vedevano da anni.
Neil Gorsuch and Janie Nitze, Over Ruled: The Human Toll of Too Much Law, New York, HarperCollins, 2024, pp. 291.
Ma allora è proprio il caso di dire "Europa napoleonica e giustinianea capta ferum victōrem cepit"